Una sera di gennaio di vent’anni fa, una macchina lasciata a folle sotto casa, la vita di un padre, marito, giornalista spezzata da una pistola calibro 22. Sono passati vent’anni dall’8 gennaio del 1993, quando Beppe Alfano, corrispondente de La Sicilia, veniva ucciso dalla mafia a Barcellona Pozzo di Gotto, nel Messinese. Professore di Tecnica, faceva il giornalista in quella provincia detta babba, perché fuori dalle grandi dinamiche mafiose che hanno insanguinato la Sicilia negli ultimi trent’anni del ‘900. E invece Cosa Nostra era viva e ben nascosta all’ombra dei monti Peloritani.
Nella zona era molto attiva la loggia massonica Corda frates utilizzata come circolo per giocare a carte da alcuni esponenti della società bene della provincia. Ma non era solo quell’associazione ad attirare l’attenzione di inquirenti e non, c’erano anche gli strani passaggi di personaggi illustri. Come scoperto qualche anno dopo l’omicidio, a ridosso dell’uccisione di Beppe Alfano uno degli ospiti di Barcellona è stato Nitto Santapaola sotto lo pseudonimo emerso dalle intercettazioni dell’epoca di zio Filippo. Il boss catanese fu arrestato a Mazzarrone cinque mesi dopo e, secondo le dichiarazioni del pentito Maurizio Avola, fu proprio la famiglia catanese a dare l’approvazione all’esecuzione del giornalista.
Ci sono voluti quattro processi per condannare Pippo Gullotti, boss di Barcellona, a 30 anni di carcere. Minore – 21 anni – la pena per il killer Nino Merlino. Ma le dichiarazioni di Avola – che ha testimoniato per l’omicidio di un altro giornalista ammazzato dalla mafia, Pippo Fava – hanno illuminato di una luce diversa l’esecuzione del giornalista messinese che non avrebbe indagato solo su Cosa Nostra, ma anche sulla misteriosa questione della trattativa Stato-mafia. Sarebbe stato Santapaola uno degli interlocutori e una parte del dialogo si sarebbe svolta proprio nella provincia babba, in quella loggia che potrebbe essere stata qualcosa di più che un circolo per appassionati del gioco delle carte. L’omicidio di Beppe Alfano, dunque, s’incastra in un disegno più ampio di Cosa Nostra. A dare fastidio non erano state solo le inchieste sulle frodi all’Unione europea sulle sovvenzioni agroalimentari o quelle sui bilanci dell’Associazione di assistenza ai disabili.
Come per l’omicidio Fava, anche a Barcellona in un primo momento si tentò il depistaggio delle indagini su piste private e nel tempo la sua memoria non è stata sempre onorata. Un piccolo esempio è il comportamento del giornale per il quale Alfano lavorava, La Sicilia, che ha scelto di non costituirsi parte civile. E poi le vendette inflitte in modo anonimo, come i cassonetti della spazzatura puntualmente spostati da ignoti nel luogo del suo omicidio, proprio sotto la targa che lo ricorda.
Per ricordare la figura di Beppe Alfano, ieri e oggi la sua Barcellona è diventata da cittadina simbolo delle oscure dinamiche mafiose a luogo di incontro e dialogo per le forze di polizia internazionali. Dalle forze dell’ordine tedesche, all’Fbi, passando per l’Europol e i corpi italiani. Conciliando le due anime – il docente e il giornalista – di Alfano, oggi si terrà l’incontro dal nome La mafia odia la cultura, legalità e scuola per un futuro migliore. Studenti da tutta la Sicilia, familiari delle vittime (come Sonia Alfano e Rita Borsellino), testimoni di giustizia, Don Ciotti e Roberto Saviano punteranno per una giornata i riflettori su quella provincia che spesso in troppi hanno tenuto nell’ombra e nel silenzio.
[Foto di Ossigeno per l’informazione]
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