Vecchia dogana, Sovrintendenza innocente «Il fiasco? Colpa del piano commerciale»

Anche l’ultimo dei bar della Vecchia dogana, all’ingresso del porto, ha tirato giù le saracinesche. Dentro al negozio scatoloni, sedie e tavoli sono accatastati, pronti per essere portati via. Entro un paio di giorni, in quella bottega non ci sarà più niente e l’esperienza dei due proprietari all’interno della Città del gusto di Catania potrà dirsi conclusa. Ma tra i commercianti – molti – che sono andati via, qualcuno non è critico solo nei confronti della gestione della struttura, ma anche dei vincoli imposti dalla soprintendenza ai Beni culturali etnea. Questi ultimi, dicono, sarebbero un ostacolo troppo grande per il corretto sviluppo di un’attività. «Imputare al nostro lavoro l’eventuale fallimento dell’operazione Vecchia dogana è impensabile», risponde con forza Fulvia Caffo, la soprintendente che da novembre regge gli uffici catanesi, e raggiunta nei giorni scorsi da un provvedimento di sospensione della nomina del tribunale del Lavoro di Messina. Secondo la decisione dei giudici, arrivata a seguito del ricorso di un altro concorrente alla carica, l’attuale sovrintendente dovrà quindi attendere un nuovo atto di nomina da parte della Regione.

«Il progetto di recupero, riqualificazione e ristrutturazione della dogana di Catania, adibita a uffici, depositi e stazione marittima, risale al 2007», spiega Caffo. L’idea – realizzata – era stata presentata dalla società Vecchia dogana, che voleva fare un centro polifunzionale in project financing: «All’epoca abbiamo dato il nostro parere positivo, con tutte le cautele del caso: ci troviamo al cospetto di un bene che si trova in un’area vincolata paesaggisticamente, di grande interesse per la storia della città». Le caratteristiche della Vecchia dogana, «e di questo la società era al corrente sin dall’inizio», dovevano essere mantenute. Gli obblighi per la proprietà erano semplici: «Dovevano mantenere le cornici e gli elementi in pietra, i pavimenti in roccia lavica, così come i manufatti in ferro e ghisa, che contribuiscono a dare carattere alla struttura; in più, i nuovi solai non dovevano interferire con le volte originali, le geometrie dovevano essere rispettate e il decoro generale dell’edificio doveva essere mantenuto». Cioè gli impianti tecnologici, come quello elettrico e i condizionatori d’aria, «dovevano essere centralizzati, e i pannelli non dovevano essere visibili al pubblico».

«Non abbiamo solo imposto limiti, peraltro giustificati e per nulla invadenti – puntualizza la soprintendente – abbiamo anche dato possibilità: basti pensare alla copertura in vetro, che prima non c’era e che abbiamo ritenuto potesse aumentare il valore panoramico dell’intera dogana». Insomma: «Ci siamo confrontati con i privati e abbiamo ascoltato le loro richieste, abbiamo discusso di ogni elemento al fine di non snaturare il palazzo». E a chi sostiene, per esempio, che mantenere il basolato lavico sia problematico per chi gestisce un locale in cui si preparano e vendono alimenti, replica: «La scelta della destinazione d’uso delle botteghe spettava ai proprietari: se era scomodo il pavimento lavico, perché fare dei bar?». «Mi pare, inoltre – aggiunge Caffo – mi pare che abbiano chiuso anche i negozi di ceramiche, mica solo quelli che lavorano col cibo».

Secondo la dirigente, «le critiche sono strumentali, forse è stato il modello adottato a non essere azzeccato, ma le valutazioni di marketing non spetta a me farle». Spettano, invece, ad Angelo Cutrona, presidente del consorzio Vecchia dogana, al quale sono iscritti tutti gli imprenditori che lì hanno preso in affitto i loro negozi. Per lui, le lamentele sono solo di «gente che vuole proprio cercare il pelo nell’uovo: se uno vuole coprire il pavimento può poggiarne uno nuovo sopra». Facile e veloce, «perché nella vita tutto si può fare, se ci sono i soldi e c’è la volontà». I negozi chiusi tutti attorno – pure quello di Cutrona, Grigio pallina, è in fase di ristrutturazione – però non sembrano dargli ragione: «La colpa è della pessima gestione del posto da parte di chi è venuto prima di me, noi abbiamo anche fatto sistemare il parcheggio, che prima era in mano di nessuno». Adesso, invece, ci sono due aste che delimitano un’area piena di stalli identificati da strisce bianche. L’ingresso è a pagamento: «Due euro mezza giornata, tre euro intera giornata», dicono i giovani parcheggiatori all’ingresso.

«Si sta aprendo una fase nuova – promette Cutrona – Ci stiamo riposizionando, puntiamo a un target medio-alto e la trattativa con Eataly è quasi chiusa». «A breve – garantisce il presidente – riprenderemo alla grande». Intanto transenne e nastri segnaletici rossi e bianchi delimitano il cortile sinistro della Vecchia dogana: un pannello della copertura in vetro è evidentemente danneggiato. «Lo stiamo riparando, c’è un foglio che avverte la gente di non oltrepassare perché è pericoloso». Ma la gente, comunque, non c’è.

Luisa Santangelo

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