V. Emanuele, in quattro aggrediscono dottoressa «Se non ci fossero stati infermieri non sarei viva»

Il pronto soccorso del Vittorio Emanuele di Catania torna a far parlare di sé per un altro caso di violenza nei confronti del personale sanitario. Anche questa volta a farne le spese sono una dottoressa e un’infermiera del reparto di urgenza che, nella sera di sabato scorso, sono state picchiate da una paziente. Spintoni, capelli tirati e pesanti minacce di morte, rivolte sia dalla persona visitata che da altri tre accompagnatori – due donne e un uomo presenti all’interno dell’ambulatorio – che avrebbero inoltre distrutto due computer e strappato i cavi di collegamento presenti nella stanza. A scatenare l’ira del gruppo nei confronti della professionista il rifiuto, da parte di quest’ultima, di effettuare alcuni accertamenti non urgenti che – secondo quanto prevede la prassi – avrebbero dovuto essere eventualmente richiesti da un medico di famiglia

«La signora, una giovane di circa trent’anni, è venuta da noi il giorno precedente e aveva già fatto l’elettrocardiogramma e due punti enzimatici (un esame che si effettua per verificare il rischio di possibili infarti o danni cardiaci, ndr) – racconta la dottoressa aggredita a MeridioNews – Era in stanza con alcuni parenti che, nonostante la vigilanza e le regole dell’ospedale, sono riusciti a entrare dentro». «Ho spiegato che forse avrebbe potuto fare delle verifiche per la presenza di un herpes zooster (cosiddetto fuoco di sant’Antonio, ndr), che non si fanno in pronto soccorso». Un diniego che, però, la paziente non avrebbe voluto ascoltare. «Si è incaponita che a fare i controlli dovessi essere io, in quel momento – denuncia la vittima – e, in pochi minuti, le tre donne mi hanno aggredito, tirandomi i capelli e insultandomi pesantamente». Ma non solo. «L’uomo ha cominciato a urlare e a buttare i monitor dei computer a terra – racconta ancora la professionista – e se non fossero intervenuti i miei infermieri, tra cui una donna, e i vigilantes non ne sarei uscita viva». 

La presenza di tre congiunti nel reparto d’urgenza – e non di uno solo come prevede il regolamento interno -, secondo quanto spiegato dalla protagonista della vicenda, sarebbe stata possibile «perché appena trovano la porta aperta i parenti si intrufolano, eludendo i controlli del personale al triage e di quello addetto alla sicurezza». Una situazione che, nonostante le diverse aggressioni che si sono succedute durante l’ultimo anno, le promesse fatte dalla dirigenza e quelle della questura di Catania, «non è cambiata di una virgola», commenta amareggiata. «Se vogliono farci del male possono farlo in qualsiasi momento, non c’è nulla di diverso da prima – spiega ancora – c’è qualche vigilantes in più ma siamo sempre minacciati ed esposti a questo genere di violenza». Il j’accuse della medica non risparmia neanche la polizia di Stato che, a suo dire, «non si fa vedere mai». «Il poliziotto presente qui – aggiunge – si chiude dentro alla sua stanza e non fa nient’altro che prendere i dati delle persone che hanno l’obbligo di soggiorno in casa. La sua presenza non è attiva, non serve a nulla». 

Ciononostante, ieri sera la dottoressa è tornata sul posto di lavoro, per «non lasciare da soli i colleghi durante un momento particolare come quello delle festività», andando contro i consigli del direttore generale Paolo Cantaro e del primario Giuseppe Carpinteri che «mi sono stati molto vicini e mi hanno suggerito di riposare». «La realtà – conclude con una punta di dispiacere – è che si dovrebbe pagare un ticket per l’accesso al pronto soccorso, a prescindere dalla gravità dei casi. Chi si mette a litigare, a creare problemi, non è un paziente che sta male. Chi soffre sta tranquillo, accetta, prega, si rivolge a ben altre persone per il bene del proprio congiunto, questi invece vogliono tutto e subito». E, sostiene, «se dovessero sborsare anche cinque euro per queste prestazioni sono sicura che reagirebbero in modo diverso».

A commentare i fatti è anche Calogero Coniglio, segretario di Catania e coordinatore nazionale della sigla degli infermieri Fsi-Usae. «Inconcepibile che, ancora oggi, dopo appelli, denunce, richieste di incontri con i prefetti e comunicati stampa, gli infermieri, medici dei reparti che operano, in prima linea, per la tutela del cittadino, siano oggetto di aggressioni – interviene – Chiediamo l’intervento di tutte le istituzioni interessate, e di tutti quelli che hanno preso atto che con un personale sanitario impaurito e sovraccaricato non può essere più garantita l’assistenza».

Mattia S. Gangi

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