Dopo due anni e sette mesi di udienze preliminari, interrogatori e sviste giudiziarie, gli imprenditori Bosco saranno chiamati a processo il prossimo settembre. A deciderlo è stata la giudice per le indagini preliminari Francesca Cercone che ha disposto il rinvio a giudizio per 18 persone. Scorrendo l’elenco del decreto i nomi che spiccano sono quelli in cima alla lista: Antonino, Giuseppe, Mario, Salvatore e Sebastiano Bosco. Un cognome che si ripete per individuare i noti impresari catanesi attivi, nel recente passato, nel settore di supermercati, gastronomia e catering. Tra coloro che dovranno difendersi c’è anche il 94enne patriarca Salvatore Bosco. I reati, contestati a vario titolo, sono quelli di associazione a delinquere, usura ed estorsione aggravata. «Uno dei più grossi giri di usura della città», lo aveva definito l’ex procuratore capo Giovanni Salvi, commentando il blitz della guardia di finanza denominato Money lender.
Tra le vittime, poi decisiva con le sue denunce per dare un’accelerazione alle indagini, c’è l’imprenditore Salvatore Fiore. Il costruttore, originario di Belpasso, che ha vissuto per quasi dieci anni nella morsa dell’usura e che ha raccontato recentemente la sua storia su MeridioNews. Il suo nome, così come quello di altri taglieggiati, compare diverse volte nei vari capi d’imputazione in riferimento a un presunto sistema di prestiti. Le somme sarebbero variate da un minimo di 4uattromila e 500 euro a un massimo di 350mila. In un’occasione la vittima sarebbe stata costretta, secondo gli investigatori, a rilasciare a Salvatore Bosco un compromesso di vendita per un appartamento che la ditta di Fiore stava costruendo lungo via Palermo, a Catania.
Le basi operative del gruppo sarebbero stati due supermercati a marchio Fratelli Bosco, in via Orto dei limoni e in via Oliveto Scammacca, oggi sotto amministrazione giudiziaria, dopo il sequestro di un patrimonio da 15 milioni di euro. I pagamenti dei prestiti sarebbero avvenuti non solo in contanti o con altri piani di rientro ma anche tramite i pos dei punti vendita. «È venuto l’ultimo giorno e ha pagato con il bancomat», spiegava in un’intercettazione ambientale uno dei Bosco al suo interlocutore. Il sistema non avrebbe previsto sconti nemmeno sulle spese di commissione delle transizioni telematiche: «Con la carta pago l’1,50 per cento, sopra quattromila euro sono 60 euro. Tu me li devi dare. Non è che li guadagno 60 euro con te».
Nelle aule giudiziarie di piazza Verga la vicenda ha però avuto il passo della lumaca. Se un filone secondario dell’inchiesta, quello con il rito abbreviato, ha superato il traguardo del processo di primo grado, quello che riguardava i fratelli Bosco ha subito un lungo stop all’inizio dello scorso anno. Quando è stato dichiarato nullo il decreto che disponeva il giudizio immediato. L’incredibile svista si basava su una violazione del diritto di difesa ai danni di alcuni imputati. Una situazione paradossale in cui alcuni dei rinviati a giudizio non erano stati interrogati prima. A settembre, trascorsi quasi tre anni e con le carte in ordine, il processo potrà prendere il via.
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