Ustica, esposto per indagare sulla morte di Dettori Il radarista che disse: «Siamo stati noi a tirarlo giù»

«Quello di Dettòri per tutti fu un suicidio punto e basta, nessuno lo commentò mai, nessuno se ne occupò. Le uniche ombre le ha sempre sollevate solamente la famiglia, che non ha mai creduto a questa ipotesi». A dirlo è Goffredo D’Antona, avvocato dell’associazione antimafie Rita Atria che da tempo assiste i familiari del maresciallo Mario Alberto Dettòri e grazie alla quale venerdì 16 dicembre è stato presentato un esposto alla Procura di Grosseto, per indagare sulle circostanze della sua morte. Il maresciallo, radarista alla stazione di Poggio Ballone la sera della strage di Ustica, è stato trovato impiccato il 31 marzo 1987. «L’esposto è chiaramente una richiesta di apertura indagini», spiega a MeridioNews il legale. È troppo presto, però, per parlare dei dettagli, trapela solamente che gli elementi depositati sono stati raccolti nel corso di parecchio tempo: «La gestazione è stata molto lunga, quello che abbiamo presentato confuta sostanzialmente il percorso col quale si è arrivati all’ipotesi del suicidio», torna a dire D’Antona. Pochi dettagli, insomma, ma sufficienti a far intuire che l’ipotesi condivisa dai familiari sia piuttosto quella dell’omicidio. Il suicidio del radarista quindi sarebbe stato inscenato appositamente. «Adesso il pubblico ministero con calma valuterà tutti gli elementi raccolti e se chiedere al gip la riapertura delle indagini», continua l’avvocato dell’associazione.

Alle 81 vittime ufficiali del Dc-9 dell’Itavia che il 27 giugno 1980 si inabissa non lontano dalle coste di Ustica, quindi, si aggiungono anche quelle che nel tempo sono state definite vittime non ufficiali, quelle cioè mai dichiarate. L’allusione è agli incidenti e ai numerosi suicidi che si verificarono dopo il disastro aereo. Tra le morti sospette, ad esempio, ci sarebbe anche quella del tenente colonnello Sandro Marcucci, deceduto in un incidente aereo nel 1992. Anche per questo caso l’associazione Rita Atria, insieme ai familiari di Silvio Lorenzini, l’altro pilota morto nello stesso incidente aereo, ha presentato un esposto nel 2012 alla Procura di Massa, che ha aperto un’indagine contro ignoti per il reato di omicidio. «Che i due, Marcucci e Dettòri, si conoscessero o si fossero mai sentiti è improbabile – torna a dire l’avvocato D’Antona – Ma a collegarli indirettamente è il capitano Mario Ciancarella», ex pilota dell’aeronautica militare radiato con infamia nel 1983, attraverso un documento a firma dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Firma che 33 anni dopo una sentenza recentemente emessa dal tribunale di Firenze ha dichiarato ufficialmente falsa, riabilitando di fatto la figura del capitano Ciancarella, leader del Movimento democratico delle forze armate e tra i primi, nel 1980, a mettersi a indagare sulla vicenda di Ustica.

È proprio lui, infatti, che a pochi giorni dal disastro aereo riceve la telefonata del radarista di Poggio Ballone: «Siamo stati noi capitano, siamo stati noi a tirarlo giù». Dettòri allude in maniera inequivocabile a una diretta responsabilità dell’Italia nella strage. Ciancarella inizia quindi un’indagine interna insieme a Marcucci, suo superiore. «Della famosa frase oggi non esiste una qualche prova audio, rimane nella memoria del capitano, che comunque – racconta D’Antona – non è il solo ad affermare che quella notte il radarista aveva visto qualcosa di spaventoso. Lo dicono soprattutto i suoi familiari». Sono loro, infatti, a ricordare ancora lo stato d’animo con cui tornò a casa il 27 giugno 1980: «Era sconvolto e proprio a loro più volte disse che non poteva raccontargli quello che aveva visto quella sera, un modo probabilmente per tutelarli. Cercherà di parlare solo con Ciancarella per ovvi motivi: lui era un ufficiale, oltre che il leader del Movimento democratico delle forze armate, elemento che avrà convinto Dettòri a fidarsi di lui».

Silvia Buffa

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