Un invio di mail indesiderato per giustificare un precedente invio altrettanto indesiderato. E sospetto. Continua la polemica sulla campagna elettorale alle elezioni regionali di ottobre di Maria Elena Grassi, dirigente scolastica dellistituto catanese Lucia Mangano nelle liste dell’Udc. Una bufera cominciata all’indomani dell’invito al voto da parte di un disinteressato almeno all’apparenza sostenitore che lunedì 17 settembre ha inviato una mail elettorale a migliaia di studenti dell’ateneo di Catania. Ma presto si scopre che Daniele Di Maria – «mio sostenitore come tanti altri altri», dice Grassi – altri non è che suo figlio, studente Unict. E che il marito della candidata, Antonio Di Maria, lavora proprio all’Università, nello staff del rettore Antonino Recca, fino a non molto tempo fa coordinatore locale dell’Udc. Proprio dai server d’ateneo, denuncia il Movimento studentesco catanese, è stata inviata la mail incriminata senza alcun consenso da parte degli studenti destinatari. Una strumentalizzazione, secondo il giovane Di Maria. Una connessione azzardata, quella con eventuali responsabilità di Unict, secondo il Magnifico.
«Ricordo che qualunque mail inviata da una postazione collegata alla rete dellateneo (anche tramite wireless) transita necessariamente dai server delluniversità che gestiscono lo smistamento in uscita dei messaggi di posta elettronica», ha scritto oggi Recca in una mail indirizzata ai docenti dell’ateneo, agli studenti e al personale tecnico-amministrativo. Invitandoli comunque ad astenersi da comunicazioni politiche attraverso la rete universitaria. «Fermo restando – assicura il rettore – che abbiamo già provveduto per le vie brevi a chiedere alle persone coinvolte conto del loro operato». «Come al solito, anche questa volta il movimento studentesco è impegnato nel trasformare in rissa lattuale democratica competizione elettorale regionale si difende il giovane Di Maria – Lultima assurda pretesa è quella di precludere agli altri lutilizzo del web, al quale qualunque studente è libero di accedere». E infatti invia la sua lamentela con una nuova email ieri nel primo pomeriggio – al database di indirizzi universitari che non si sa ancora come sia finito nelle sue mani. «Chi non intende ricevere le nostre email può richiedere la cancellazione», dice. Nessuno dei due però, né il rettore né il ragazzo, spiegano come Di Maria sia potuto entrare in possesso di tanti preziosi indirizzi.
Un’operazione di libertà della Rete per il ragazzo. Ma non così semplice secondo la legge: per la quale candidata, marito e figlio potrebbero rischiare grosso. La campagna selvaggia, intanto, sta provocando un terremoto elettorale poco favorevole a Maria Elena Grassi. Sul suo profilo Facebook, i commenti allo status con cui annuncia la candidatura sono solo di insulti e richieste di spiegazione da parte di studenti che hanno ricevuto la mail non gradita. «Complimenti per le porcherie che stanno facendo per la sua candidatura scrive Eugenio R. – Come si è permesso suo figlio a mandarmi una mail con il suo santino vergogna!!!». E ancora vergogna grida virtualmente un altro utente, Mario M.: «A lei che ha sfruttato dei dati trafugati per farsi propaganda, e vergogna a chi glieli ha forniti». Uno sdegno genuino, ci tiene a chiarire Mario, perché «io non faccio parte di nessun collettivo studentesco». Ma promette di far girare la voce, poco lusinghiera per Grassi, in tutta Giarre, dove vivono candidata e famiglia.
All’eventuale punizione elettorale, però, potrebbe aggiungersi quella della legge. Per la violazione della privacy, innanzitutto, tutelata dall’articolo 167 sul trattamento illecito dei dati personali. Ben più grave se venisse provato il coinvolgimento del marito della Grassi, dipendente dell’ateneo, nell’invio delle email o nella diffusione del database di indirizzi studenteschi. «E’ un caso di scuola, al punto tale che è stato oggetto di parere all’ultimo esame di avvocatura spiega Luca Caldarella, procuratore legale – Un carabiniere che, sfruttando la sua posizione, accedeva all’anagrafe per individuare potenziali patentati per l’autoscuola di sua moglie al fine di inoltrare materiale pubblicitario». In questo caso, per Antonio Di Maria si tratterebbe di difendersi dall’accusa di abuso d’ufficio: «Reclusione da sei mesi a tre anni e licenziamento», aggiunge Caldarella.
Ma Daniele Di Maria sembra non preoccuparsi. A impensierirlo sono più gli attacchi del Movimento studentesco, che ieri ha creato un apposito gruppo su Facebook per chiedere il ritiro della candidatura di Maria Elena Grassi. Ma i movimentisti difendono le proprie buone intenzioni: niente scontro politico, solo la volontà «di fare luce su come gli indirizzi email consegnati all’Università di Catania al momento dell’iscrizione siano finiti nelle mani del figlio di un dipendente dell’Ateneo e di una candidata alle elezioni regionali». Chiedono chiarezza e si rivolgono direttamente al Magnifico Antonino Recca. Che di rispondere al Movimento, però, ha fatto sapere mesi fa di non avere intenzione. «Pensiamo che sia giusto che il rettore intervenga immediatamente per salvaguardare la privacy degli studenti» e «tutelare l’istituzione che rappresenta», continuano. Per fare luce sulla vicenda sono pronti anche a rivolgersi alla magistratura. «L’Università batta un colpo, manifesti un pizzico di dignità- concludono – Se il rettore non ne è capace, si dimetta. Noi ne abbiamo abbastanza».
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