Privare del carattere sacro un luogo, questa è la definzione di «dissacrante». E non può che essere questo l’aggettivo più azzeccato per descrivere la Giornata dell’orgoglio antirazzista, migrante e terrone che ha portato migliaia di persone da tutta Italia (e non solo) nella ridente cittadina di Pontida, in provincia di Bergamo. La città simbolo della Lega Nord, teatro del tradizionale (e folkloristico) raduno annuale del partito di Matteo Salvini, è stata invasa da migliaia di persone provenienti dal Sud Italia, i terroni del Nord, rifugiati politici, antirazzisti e militanti. Una giornata di festa per ribadire l’orgoglio del Sud d’Italia e del mondo. Moltissimi gli studenti fuorisede, i lavoratori meridionali costretti a cercare fortuna nel produttivo Nord, i richiedenti asilo. Insomma, un raduno meticcio e orgoglioso di essere tale.
In quanto emigrato siciliano non potevo dunque mancare a questa festa. Da qualche mese mi trovo infatti al Nord per lavoro, una storia come tante. Storie che ritroverò spesso tra i partecipanti dell’evento. Arrivati a Pontida lo spettacolo è inizialmente desolante. Il nostro autobus è scortato dalla polizia, centinaia le forze dell’ordine a presidiare la cittadina. La prima impressione è quella di una Pontida deserta, principalmente per effetto dell’ordinanza del sindaco leghista Luigi Carozzi che ha imposto la chiusura di uffici, scuole, negozi e persino del cimitero «per l’arrivo dei centri sociali», una scelta applaudita da Salvini.
La bufera mediatica ha imposto il coprifuoco alla città evocando una sorta di spedizione punitiva di vendetta. L’idea di organizzare una giornata a Pontida infatti nasce, nel ragionamento degli organizzatori, per «riparare» alla movimentata visita di Salvini a Napoli lo scorso 11 marzo. In quell’occasione la visita del leader del Carroccio nella città partenopea fu contestata da associazioni, centri sociali e addirittura dal sindaco De Magistris e caratterizzata da scontri e cariche della polizia.
La giornata dell’orgoglio terrone è stata invece una grande festa scandita da ritmi mediterranei. Una dissonanza rispetto all’immaginario di una città normalmente invasa da corna celtiche e bandiere lombardo-venete. Il mito della città saldamente in mano alla Lega crolla immediatamente al mio arrivo nel prato in cui si svolge il concerto: un signore dal balcone balla e annuisce agli interventi dal palco. Numerose le magliette verdi con scritte inequivocabili: «Odio la Lega, terroni del Nord».
Artisti da tutta Italia, sopratutto napoletani, hanno fatto ballare le tantissime persone che hanno risposto all’appello. Tra i più noti Eugenio Bennato, O’ Zulu dei 99 Posse e Kento. Musicisti che per l’occasione si sono consorziati sotto la sigla Terroni Uniti, producendo anche una canzone a tema.
Mi siedo sul pratone, con noi una bandiera della Sicilia. Non tanto per appartenenza, ma per segnare la presenza e subito mi accorgo che il simbolo della Trinacria è oggetto di attenzioni da parte di molti. Sono i siciliani a Pontida. Si avvicinano, scattano selfie, scambiano quattro chiacchiere in dialetto. Insomma, l’orgoglio di esserci e di essere rappresentati, una tribù che si concentra intorno al vessillo della propria terra lontana.
Probabilmente sono il più terrone di tutti, quello che proviene dalla terra più lontana, almeno limitatamente all’Italia. Il sondaggio è certamente poco scientifico ma probabilmente azzeccato. Ed è pure siciliana la prima ragazza che si avvicina, probabilmente è quella che vive più a Nord tra i partecipanti: palermitana residente in Valtellina, emigrata per amore.
Accanto a noi un folto gruppo di residenti asilo della Sierra Leone. Un bimbo, attratto dallo svolazzare della bandiera siciliana, si avvicina e comincia a giocarci. Non parla italiano, l’operatrice sociale che l’accompagna mi spiega che il piccolo è nato in Sierra Leone, è scappato da un campo profughi colpito dall’ebola, si è imbarcato con la madre in Libia per sbarcare a Lampedusa. Non sa che tra le sue mani c’è la bandiera della terra che l’ha accolto. Una bella storia di accoglienza.
Mentre i tamburelli segnano il ritmo e centinaia di persone ballano, il prato di proprietà della Lega su cui fino a venerdì era visibile la famosa scritta Padroni a casa nostra è presidiato da centinaia di poliziotti. La scritta però è stata cancellata nottetempo dai leghisti per «evitare di dare soddisfazione alle zecche rosse di farsi dei selfie piscianti», come ha spiegato il segretario provinciale del Carroccio Daniele Belotti. Proprio la cancellazione della scritta, realizzata nel 1990, ha provocato non pochi mal di pancia tra i leghisti, privati di uno dei simboli sacri del rito padano. «Il sacro suolo di Pontida», per usare l’espressione del giuramento padano, è ormai profanato. Gli organizzatori della manifestazione gongolano: la dissacrazione è servita.
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