Un anno fa sei migranti morivano alla Playa «Qui c’è la libertà, non è come in Africa»

Il più vecchio era nato nel 1986, aveva 27 anni. Degli altri, uno era nato nel 1989, due nel 1995, uno nel 1999. Dell’ultimo non si sa niente, né chi fosse, né da dove venisse. La targa che è stata inaugurata questa mattina davanti al lido Verde, in viale Kennedy, riporta cinque nomi egiziani e un telegrafico «Ignoto», per ricordare quei sei migranti morti annegati il 10 agosto 2013 nel tentativo di raggiungere la spiaggia della Playa, sbarcando da un gommone che si era arenato a pochi metri dalla riva. «Morire di speranza – recita la lapide commemorativa – Nel segno dell’accoglienza e della fratellanza, Catania e i suoi giovani ricordano».

La folla riunita per assistere alla celebrazione è silenziosa. Sono giovani migranti ospiti del Cara di Mineo, arrivati in Sicilia stipati nei barconi partiti dall’Africa. Anche loro come i 120 che venivano dall’Egitto e che sono approdati un anno fa sul litorale catanese. «Il mio barcone è arrivato a Lampedusa – racconta Elvisio, 22 anni, proveniente dal Ghana – era l’11 maggio 2013». È rimasto lì due settimane, «poi abbiamo preso l’aereo e siamo arrivati a Catania». Da allora vive nel centro per richiedenti asilo del Comune etneo e aspetta il permesso di soggiorno per poter rimanere in Sicilia: «Qui non è come l’Africa, in Italia c’è la libertà», dice.

«Questo non è un anniversario di morte, è un anniversario di speranza», spiega Marco Consoli, vicesindaco etneo. «Ricordo bene la mattina del 10 agosto 2013, ricordo che ho ricevuto una telefonata all’alba e quando mi hanno spiegato cosa stesse accadendo non sapevo cosa fare, quindi ho chiesto aiuto, mi sono rivolto subito ai volontari – ricorda – Dalla sinergia tra le istituzioni e le associazioni possono nascere tante cose positive». Come la targa, chiesta a gran voce dalla Comunità  di Sant’Egidio, che ha raccolto oltre un migliaio di firme.

«La risposta della città alla questione migranti è diversificata – interviene Emiliano Abramo, responsabile della Comunità di Sant’Egidio – La fascia più giovane della popolazione si mostra solidale e pronta all’accoglienza, tra i cittadini d’età più alta comincia a serpeggiare un po’ di fastidio». La colpa sarebbe da attribuire a una «diffidenza naturale in tempo di crisi: il pensiero comune è che le risorse siano poche e che non sia possibile dividerle». Gli sbarchi, però, continuano: «Nonostante la situazione in cui versa la Sicilia – sostiene – al di là del mare c’è ancora la convinzione che questa terra sia l’Eldorado. Quando i nostri ragazzi telefonano a casa e dicono che non trovano lavoro, che non hanno soldi, spesso non vengono creduti».

Luisa Santangelo

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