«Gli uomini che arrivano a compiere un gesto del genere hanno problemi e c’è bisogno di strutture per curarli perché sono esseri umani. Se le cure non funzionano, allora vanno rinchiusi perché non si può permettere che facciano del male ad altre persone». A distanza di un anno, della tragedia di Vannessa Zappalà restano non solo il dolore della comunità di Trecastagni – che oggi la ricorda in un post su Facebook -, ma anche la lucidità delle parole del padre della 26enne, Carmelo Zappalà, all’indomani dell’omicidio della figlia avvenuto la sera dello scorso 23 agosto sul lungomare di Acitrezza.
In dodici mesi, non è cambiato molto. Il femminicidio di Vanessa, commesso dall’ex fidanzato che si è poi tolto la vita, non è rimasto un caso isolato. Due settimane dopo, a Bronte, un quasi ex marito – si sarebbero separati quella stessa mattina – ha ucciso Ada Rotini, provando anche lui a farla finita, non riuscendoci. A ricordare Vanessa, per età e dinamica, era stata invece pochi mesi dopo, a inizio dicembre, la storia di Jenny Cantarero, la 27enne catanese uccisa dall’ex fidanzato, ritrovato poi morto a Vaccarizzo. Il 2021 si era chiuso così, con questi femminicidi-suicidi che avevano innescato nel dibattito pubblico quello che, con lucidità inaspettata, aveva indicato il padre di Vanessa Zappalà: la necessità di passare dall’indignazione postuma alla prevenzione.
Non è andata meglio nel 2022, dove a Lentini è stata trovata morta Naima Zahir: suicida, secondo il marito, che ha poi confessato. E a luglio Deborah Pagano, morta nella sua casa a Macchia di Giarre per mano del convivente, secondo l’accusa. Lo stesso che ha chiamato i soccorsi un giorno e mezzo – e un’accurata pulizia – dopo il suo decesso. Poche settimane dopo – appena un mese fa – il caso di Valentina Giunta, uccisa a Catania dal figlio perché voleva rifarsi una vita senza il padre.
Eppure, dalla morte di Vanessa, un’altra cosa è successa: dopo l’esperienza di Palermo, anche a Catania ha aperto un centro per uomini maltrattanti. Per affrontare il problema laddove si origina. Prima dell’estate, erano quattro gli uomini presi in carico, tutti inviati dal tribunale e impegnati in un percorso psicologico della durata di almeno sei mesi. Per lo più giovanissimi, sotto i 25 anni, e spesso con un passato di violenza a loro volta subita o respirata nell’ambiente familiare. Persone, insomma, che hanno bisogno di strutture per curarli, come diceva il papà di Vanessa Zappalà. Che, mentre piangeva la figlia, e senza nemmeno saperlo, cominciava una piccola rivoluzione culturale.
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