«Ieri il nostro era più il rainbow saturday che il black friday appena trascorso». L’arcobaleno del sabato invece del venerdì nero, il mercatino solidale dell’usato contrapposto alla smania di shopping alla ricerca di sconti: così Riccardo Sanfilippo, responsabile della comunità Emmaus a Palermo, ha festeggiato il primo anno di vita del mercato all’interno del padiglione 3 della Fiera del Mediterraneo. Con un successo al di là delle più rosse previsioni: oltre mille le persone giunte in un giorno, attirati anche dalle esibizioni artistiche e dai laboratori per bambini. In ogni caso l’attrazione principale rimane il mercato, aperto ogni giorno: più di duemila metri quadri in cui è davvero possibile trovare di tutto, frutto delle donazioni che vengono fatte all’associazione di volontariato. Perchè Emmaus punta tutto sulla sostenibilità e sul reimpiego di cose e persone.
«La nostra comunità nasce col campo volontariato internazionale di ottobre 2015 – spiega Riccardo – con il quale abbiamo gettato le basi. Da lì è nato Emmaus a Palermo, che fino a tre mesi era l’unica comunità da Roma in giù». Anche nel capoluogo siciliano insomma ci si ispira all’omonimo movimento che nasce in Francia, a Parigi, negli anni ’50 per volontà di Ebbè Pierre, un presbitero cattolico francese che si oppose al modello assistenzialista nell’aiutare i poveri ma volle creare un sistema affinché queste potessero autofinanziarsi e autosostenersi.
Su questa scia nasce, prima al padiglione 19, il mercatino solidale dell’usato all’interno della Fiera: un’esperienza che viene inoltre raccontata in un documentario. «La risposta del quartiere è stata sin da subito positiva – aggiunge il responsabile di Emmaus – anche perchè in città c’è molta richiesta in questo settore. Oggi la comunità è composta da sette persone, provenienti da tutta Italia e da tutto il mondo: due da Palermo e da poco sono con noi due ragazzi nigeriani che provengono dalla felice esperienza del centro Sprar dei Girasoli, a Mazzarino».
Una delle peculiarità di Emmaus a Palermo è dunque l’accoglienza che, rispetto a quella tradizionale della rete d’origine francese che si dedica soprattutto ai senzatetto, qui si apre anche ai migranti di giovane età. All’insegna dell’autonomia e della reintegrazione sociale. «La prima e forse unica regola della comunità è il rispetto reciproco» conferma Sanfilippo. Che poi guarda con soddisfazione alle prossime tappe: «Presto avremo un bene confiscato alla mafia, dopo aver partecipato al bando pubblico indetto dal Comune. Finora eravamo stati un pò zingari, abbiamo fatto sei traslochi e per un po’ abbiamo tutti alloggiato a casa mia. A breve invece potremo allargare la comunità, visto che la struttura che ci è stata assegnata è veramente grande».
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