Uccise due rapinatori, viene condannato a 13 anni «Pronto al carcere. Appello? Lo vuole la famiglia»

Condannato per
duplice omicidio e per il tentativo di uccidere una terza persona a 13 anni di carcere, con libertà vigilata per un periodo non inferiore a tre anni. Questo l’esito del processo di primo grado che vedeva alla sbarra l’orafo Guido Gianni. Finito sotto processo dopo avere reagito a una violenta rapina all’interno della sua attività commerciale. La lettura del dispositivo da parte della quarta corte d’Assise, poco dopo le 14, all’interno dell’aula Serafino Famà del tribunale di Catania. L’uomo è stato dichiarato colpevole con il riconoscimento delle attenuanti generiche. Dovrà pagare le spese processuali e sarà interdetto dai pubblici uffici. È stato inoltre stabilito un risarcimento dei danni alle parti civili, che sarà conteggiato in separata sede.

Accanto all’imputato la famiglia, i figli e la moglie. Insieme commentano l’esito del processo, subito dopo la lettura del dispositivo da parte dei giudici della quarta sezione della corte d’assiste: «Non volevo fare ricorso in appello e avrei preferito andare in carcere, così da eroe sarei diventato martire – dice l’orafo – Io sono sempre stato attendo e ligio alle leggi italiane e non mi sono mai piaciute le lungaggini ma dovrò accondiscendere alla volontà della mia famiglia e faremo ricorso in appello». Dura la presa di posizione della moglie, picchiata e minacciata durante la rapina: «Mio marito mi ha difeso mentre mi stavano uccidendo, questa non è giustizia. Io non ci credo più. Non posso aggiungere altro perché sono troppo arrabbiata e non vorrei dire qualcosa che possa peggiorare la situazione».

La vicenda del gioielliere risale al 
pomeriggio del 18 febbraio 2008. Quando tre persone fecero irruzione nella sua attività commerciale, la Pierre Bonet di via Etnea, a Nicolosi. Ufficialmente si trattava di una rapina, anche se i difensori del commerciante – gli avvocati Michele Liuzzo e Orazio Gulisano – durante il processo hanno sempre ipotizzato lo scenario di una sorta di spedizione punitiva poi finita maleTesi sbandierata in aula anche descrivendo la caratura criminale di alcuni dei personaggi coinvolti, riconducibili al gruppo di Cosa nostra di Aci Catena. I riferimenti dei legali in particolare puntarono al nome di Stefano Sciuto, figlio del boss defunto Nuccio coscia.

Quel pomeriggio a morire furono 
Davide Laudani e Sebastiano Catania. Il primo, come sostenuto dall’accusa che per l’imputato aveva chiesto 17 anni, si trovava di spalle in corrispondenza dell’uscio d’ingresso. Un terzo uomo, Fabio Pappalardo, riuscì a salvarsi rimediando una frattura a tibia e perone a causa di un colpo di pistola. Il gioielliere sparò quattro colpi d’avvertimento, gli altri sei andarono a segno. L’arma, una pistola Beretta calibro 9, era registrata regolarmente a nome della moglie. Ed è proprio la coniuge che in questa storia assume la parte di coprotagonista. Fu lei la prima a entrare in contatto con i malviventi mentre era intenta a mostrare a un cliente dei prodotti nell’area destinata alla vendita. Il marito, invece, si trovava in un locale attiguo. Una sorta di laboratorio, chiuso da una porta che poteva essere aperta soltanto dall’esterno.

Anche quest’ultimo è un particolare che
non è passato inosservato durante il processo. Gianni infatti sparò i primi due colpi in aria, a scopo d’avvertimento. Negli stessi attimi in cui i malviventi puntano la loro pistola, poi risultata a salve ma senza il tappo rosso di riconoscimento, contro la moglie, che venne anche picchiata. Stando alla ricostruzione Gianni riuscì a uscire dalla stanza perché fu proprio uno dei ladri che gli aprì la porta. Perché lo ha fatto? È uno dei tanti interrogativi dei legali. Di fatto cinque o sei persone si ritrovarono in uno spazio decisamente piccolo ed è in quel trambusto che il gioielliere esplose altri due colpi, non andati a segno. Gli altri sei furono fatali. 

Sulla vicenda è intervenuto anche il leader della Lega Matteo Salvini. «Vergogna! La “giustizia” italiana condanna alla galera il commerciante aggredito, con la moglie minacciata di morte… Io sto con chi si difende, sempre», ha scritto sul suo profilo Facebook. 

Dario De Luca

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