Ucciardone, domani l’intitolazione a Di Bona Navarra: «Un uomo che non si è mai piegato»

«Una decisione che ci fa onore e che permetterà a tutti di ricordare quest’uomo per quello che è stato, uno che nel suo mestiere ci credeva veramente, e per il fatto di non essersi mai piegato». Sono parole quasi commosse quelle di Calogero Navarra, segretario nazionale per la regione siciliana del Sappe ed ex ispettore capo, nel ricordare il maresciallo Calogero Di Bona, al quale domani mattina alle 11 verrà ufficialmente intitolato il carcere Ucciardone, quello in cui ha lavorato a lungo come guardia penitenziaria, fino al giorno della sua scomparsa. «Oggi lo ricordiamo come un eroe, un martire del contesto generale, non solo della mafia – torna a dire Navarra -. Una storia simile, la sua, a quella del brigadiere Pasquale Di Lorenzo: il suo omicidio fu deciso da Totò Riina, che voleva fare piazza pulita di tutte le persone di spicco delle carceri. Entrambe le due storie, per le quali sapere la verità ha richiesto del tempo, sono emblematiche».

Il caso Di Bona, infatti, nel 1979 è solo inizialmente un caso sospetto di scomparsa. Il primo a mettersi a indagare è il giudice Rocco Chinnici. Ma le investigazioni procedono fino alla sua morte, avvenuta nel 1983. Dopo un arresto improvviso e poi anni e anni di silenzio per i familiari. Fino al 2010, quando la situazione si sblocca, grazie all’impegno del figlio del maresciallo, Giuseppe Di Bona, che scopre per caso l’esistenza di un verbale all’interno di una sentenza di oltre 800 pagine nei confronti di Bruno Contrada, in cui si faceva riferimento proprio alla scomprasa del padre. A tirare in ballo la storia della fine del maresciallo Di Bona è il pentito Gaspare Mutolo: ai magistrati racconta che era stato sequestrato e ucciso, strangolato e poi bruciato in un forno crematorio che i mafiosi utilizzavano, in un terreno nella zona residenziale di Città Giardini. Il pentito, si leggeva in quel verbale, accusava del delitto i boss Salvatore Lo Piccolo e Salvatore Liga.

Ed è contro di loro che, a distanza di anni, si mette in moto la macchina giudiziaria. Sino al punto definitivo, arrivato lo scorso aprile con la conferma dell’ergastolo da parte della Cassazione. «Quello di domani è un riconoscimento quindi importante, soprattutto alla luce dell’involuzione che il nostro ruolo e l’immagine ad essa annessa ha subito negli anni – prosegue Navarra -. Si tratta di un lavoro silenzioso e che raramente oggi viene compreso e valorizzato. Anzi, direi che la categoria degli agenti del corpo di polizia penitenziaria è spesso sminuita e denigrata». E dalla commozione adesso le parole dell’ex ispettore ormai in pensione si fanno di colpo amare: «Dentro le carceri si vivono continuamente momenti critici e la novità della vigilanza dinamica che permette ai detenuti di uscire dalle proprie celle ha in seno degli aspetti positivi ma anche degli aspetti negativi che in pochi considerano. Un fra tutti il fatto che la nostra sicurezza si riduce tantissimo, a fronte delle sempre più numerose risse. Noi subiamo, stando sempre attenti al modo in cui reagire e al contempo difenderci».

Una categoria, insomma, forse oggi un po’ dimenticata. Malgrado l’intitolazione di domani significhi molto. «Con troppo facilità e velocità il mondo esterno tende a dimenticare il reato per cui qualcuno è finito dentro, trasformandolo da orco a vittima, spesso a scapito di noi agenti – conclude -. Una categoria frustrata, dove i suicidi non fanno che aumentare. Se, quando si tratta dei carcerati, invece, non riusciamo a intervenire in tempo, siamo noi i primi che vengono a cercare, è contro di noi che tutti puntano il dito perché non abbiamo potuto impedirlo». Tanta l’emozione anche da parte del figlio del maresciallo, rimasto piacevolmente sorpreso dalla decisione di intitolare l’istituto di pena a suo padre: «Si cambia la storia dell’istituto, che in questo modo diventa luogo fondamentale della memoria – commenta Giuseppe -. Mio padre non potrà mai più tornare, cose come queste si fanno proprio per la memoria e questo è un modo forte e simbolico di portarla avanti, attraverso quello che lui è stato come uomo e come tassello delle istituzioni». 

Silvia Buffa

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