Ucciardone, carenza personale: incontro coi sindacati Barbera: «Troveremo soluzioni, ma mancano risorse»

Le politiche di reinserimento dei detenuti avviate in questi anni nelle carceri palermitane, come sostenuto anche dal direttore dell’istituto Malaspina Michelangelo Capitano, sono dovute ad un aumento generale della sensibilità nei confronti di chi è ai margini della società. Si tratta di attività che includono aspetti pratici della vita sociale, come imparare un mestiere, e quelli che riguardano lo sviluppo interiore, come salire su un palcoscenico e recitare. Sebbene la crescita delle attività sia un segno di civiltà della società di oggi queste devono essere razionalizzate secondo la Uilpa polizia penitenziaria, tenendo conto della carenza cronica di personale che ha colpito il corpo fin dall’applicazione della legge Madia.

In particolare il sindacato ha scritto una lettera a Rita Barbera, direttrice del carcere recentemente intitolato all’agente di custodia Carmelo Di Bona, per intenderci ex Ucciardone, dove individuava una serie problematiche da risolvere, sottolineando che nell’ultimo periodo si era ridotto drasticamente il dialogo con i rappresentanti di categoria sull’organizzazione e la gestione del personale. «Il confronto è venuto meno in questo periodo – sostiene il segretario generale Uilpa Penitenziari Gioacchino Veneziano – Abbiamo notato che c’è qualcosa che non va e nella lettera che abbiamo inviato abbiamo richiesto esplicitamente che la direttrice Barbera si assuma anche la gestione del personale oltre che dei detenuti». Un’esigenza nata dalla necessità di far rispettare la sicurezza: «All’interno del carcere ci sono dei buoni e dei meno buoni. Quindi, data la carenza di personale, si deve consentire agli agenti di polizia penitenziaria di prevenire eventuali aggressioni o introduzione di materiale vietato come i telefonini. Se organizziamo il pastificio dentro l’Ucciardone, per esempio, dobbiamo consentire il lavoro di chi vigila». 

Per questo Veneziano pone l’accento sulla necessità di riprendere il dialogo con la dirigenza: «Vogliamo che le organizzazioni sindacali vengano informate sulle attività pianificate, perché più corsi e attività si fanno più aumenta il carico di lavoro. Noi non siamo contrari a questa impostazione per il reinserimento ma vogliamo rimarcare che in caso di evento critico la responsabilità ricadono su di noi e quindi vogliamo sapere per tempo se siamo in grado di sostenere tutte le attività pianificate». All’ex Ucciardone si parla di 350 agenti di polizia penitenziaria che si alternano su tre turni per controllare circa 500 detenuti. «Ma il 40 per cento a turno si assenta giornalmente per ferie, malattia o riposo e dovremmo essere cento unità in più  – afferma Veneziano -. In Sicilia da 4700 siamo diventati 4200 dopo la legge Madia. Al momento in servizio siamo in 3800 per controllare, sempre su tre turni 6.800 detenuti. Che sono ancora meno se si tolgono i 700 che si occupano delle traduzioni dei carcerati. Siamo pochi e bisogna razionalizzare e coinvolgere il sindacato nei processi organizzativi».

Un problema che si allarga all’Ucciardone e non solo, anche per quanto riguarda il personale amministrativo: «La Uilpa registra sempre le stesse problematiche – spiega il segretario generale Alfonso Farruggia – legate soprattutto alla carenza di personale per il mancato turn over quindi chi è andato in pensione non è stato poi sostituito. Questo provoca un collasso della struttura amministrativa dove gli operatori devono sobbarcarsi il carico di lavoro aggiuntivo e quindi non viene riconosciuto del tutto il proprio profilo professionale. Una condizione che non si verifica solo all’ex Ucciardone ma in generale agli istituti di pena». 

La dirigente dell’Ucciardone non si è tirata indietro anzi ha aperto al dialogo con i rappresentanti di categoria: «Abbiamo delle difficoltà relative alla carenza di personale – afferma Barbera  – ho convocato le sigle sindacali per il 4 e il 5 aprile. Vedremo di trovare delle risposte insieme. È chiaro che abbiamo delle sofferenze abbastanza significative ed è necessario fare qualcosa in proposito, cercando delle soluzioni interne meno traumatiche possibili». Poi sottolinea: «Un certo tipo di trattamento dei detenuti non è un optional in un carcere, è un dovere. È chiaro che se si penalizza troppo ne va anche della serenità del personale di polizia penitenziaria. I detenuti se sono impegnati a fare qualcosa in modo proficuo è chiaro che mantengono anche un comportamento più disteso. Si evitano così le frustrazioni che si riversano sugli agenti, cosa che magari avrebbe delle ripercussioni a livello di pressioni, di clima. Si deve cercare di salvare un po’ tutto: sia il trattamento dei detenuti che il benessere del personale. Questa è un’operazione di una certa difficoltà nel momento in cui non abbiamo le risorse. Dobbiamo contemperare queste due esigenze tutte e due importanti».

Barbera sottolinea come la questione di un riequilibrio tra le parti sia indispensabile per andare avanti: «È una situazione che condividiamo tutti. Nessuno ha la bacchetta magica. Le risorse appianerebbero le problematiche ma in questo caso qualcosa deve essere sacrificato. Un problema che dovremmo condividere anche con i nostri superiori per quanto riguarda il personale. Ci vogliono delle disposizioni e dei provvedimenti amministrativi mirati. Devo salvaguardare il personale, i detenuti e l’efficienza della struttura usando le risorse che ho, quindi razionalizzando al massimo e creando delle alternative innovative nel senso di responsabilizzare di più i detenuti e quindi avere sempre meno bisogno di controlli». Un’operazione difficile da fare: l’orientamento generale nelle carceri, spiega ancora Barbera, è ormai quello di responsabilizzare i detenuti rispetto a delle prerogative di cui possono godere come l’attività scolastica, andare a coltivare i campi. «Finora le abbiamo potute assicurare – aggiunge – anche grazie alla presenza di personale che finora avevamo tentato di far bastare. Ora la situazione è un po’ più tesa perché è ancora meno di prima per una serie di motivi contingenti».  

Stefania Brusca

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