Tunisia-Sicilia-Francia, l’ipotesi di terrorismo Ma il sospettato pensava a sbarchi e sigarette

«Quando mangi e bevi fallo per me, pensa a me». Sta in queste parole il principale riferimento a un presunto intento terrorista da parte di una delle 13 persone fermate oggi dalla procura di Palermo, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina e contrabbando di tabacchi. A pronunciarle sarebbe stato Abdelhak El Jabiri, 33enne marocchino conosciuto con il nomignolo di Chtewi, nel corso di una conversazione con la connazionale Fouzia Ganouane, anche lei destinataria del provvedimento spiccato dai magistrati Calogero Ferrara, Claudia Ferrari e Federica La Chioma. Per l’interprete incaricato dai pm, in quell’invito ci sarebbe «il preludio di azioni pericolose o inusuali», che vengono ricondotte a possibili atti violenti. A riportarle indirettamente è Ganouane, mentre parla con una terza persona, raccontando della volontà del 33enne di spostarsi da Milano in Francia, nazione già colpita da diversi attacchi di matrice terroristica.

Tuttavia, a eccezione di qualche invocazione a Dio affinché tutto vada per il meglio, nel decreto di fermo non c’è altro che porti a pensare che le attività del gruppo potessero essere mosse dalla volontà di favorire l’ingresso in Europa di persone interessate a sferrare attacchi all’Occidente. E così, come in occasione della prima operazione Scorpion Fish – di cui quella di oggi può essere considerata il sequel -, le azioni degli indagati sembrerebbero dettate soltanto dalla voglia di guadagnare denaro dal business dell’immigrazione. Nella consapevolezza che la posizione geografica della Tunisia, offrendo la possibilità di raggiungere la Sicilia in poche ore, avrebbe rappresentato una tratta utile anche per investire nel contrabbando di sigarette da smerciare soprattutto a Palermo, grazie alla regia della 26enne Adele Micalizzi, nativa di Grosseto ma residente nel quartiere di Brancaccio.

A indebolire l’ipotesi di un particolare interesse verso le tematiche jihadiste da parte del marocchino ci sono anche le tempistiche. Quando El Jabiri fa sapere di essere intenzionato a raggiungere la Francia è fine settembre. La connazionale Ganouane lo racconta al telefono a Bassem Zarai, anche lui indagato, spiegando che lei invece farà ritorno a Palermo. «Meschino Chtewi! Là (a Milano, secondo gli inquirenti) mi ha detto “quando mangi e bevi fallo per me e pensa a me, capito?”», dice la donna. Zarai a quel punto le chiede se ha ceduto a El Jabiri il proprio telefono, e Ganouane risponde di sì, specificando di avere preso nota del suo numero di cellulare francese. Successivamente è lo stesso 33enne marocchino a confermare tutto a Zarai: «Speriamo che Dio sia con noi e ce la faccio», dice El Jabiri.

Quale fosse l’obiettivo da perseguire in Francia è difficile dirlo, ma è certo che la permanenza in terra transalpina del 33enne non è durata molto. Poco più di un mese dopo, infatti, l’uomo si trova di nuovo in Tunisia. Nella conversazione intercettata il 4 novembre dalla guardia di finanza, si sente l’uomo che parla con Bilel Bouanzi, uno degli indagati. Una conversazione dove non mancano i momenti di tensione – «ha un cervello come la minchia, perché è andato là? Chtewi, ma le persone sono tutte fuori?», dice il secondo – ma che ha a che fare esclusivamente con l’organizzazione dei viaggi. El Jabiri e Buouanzi parlano infatti di un gommone da fare partire a breve. E pensano, probabilmente, ai soldi che si sarebbero potuti ricavare portando una decina o poco più di persone disposte a pagare anche cinquemila euro per avere l’opportunità di arrivare di mettere piede in Sicilia. Con discrezione e sicurezza.

Simone Olivelli

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