«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». A pronunciare queste parole in aula questa mattina è stato Salvatore Candura, il finto pentito della strage di via D’Amelio, da poco condannato con rito abbreviato a cinque anni per un giro di truffe alle assicurazioni e lesioni personali aggravate, ordito con alcuni complici fra Palermo e Napoli. L’organizzazione criminale è stata smantellata a marzo da un’operazione della Dia. Oggi, assistito dall’avvocata Rosa Mangiapane, si è presentato al banco dei testimoni della prima sezione penale del tribunale per essere ascoltato in merito alle dichiarazioni pronunciate da un collaboratore di giustizia calabrese, che lo accusa di avergli rivelato dettagli su alcune di queste truffe durante un comune periodo di detenzione nel carcere Pagliarelli.
Il collaboratore, ascoltato dai pm Annamaria Picozzi e Gaspare Spedale durante la scorsa udienza, ha raccontato di come Salvatore Candura si vantasse con lui dei finti sinistri messi in scena con i complici partenopei. Tutti dettagli che confermerebbero quanto già ricostruito dagli inquirenti grazie alle intercettazioni. A capo dell’organizzazione criminale ci sarebbe stato proprio il finto pentito, che si accaparrava insieme agli altri boss il rimborso ottenuto dalle assicurazioni, mentre le vittime prendevano una cifra forfettaria che si aggirava fra i mille e i duemila euro circa.
Al termine dell’udienza il pm Spedale ha chiesto per tutti gli imputati sottoposti agli arresti domiciliari i cui termini di custodia sono in scadenza, l’applicazione della misura dell’obbligo di dimora, con permanenza serale in casa dalle ore 20 alle ore 8. Richiesta alla quale gli avvocati difensori si sono opposti, sostenendo che sia ormai venuta meno ogni esigenza cautelare. La prossima udienza è prevista per gennaio, mentre a marzo i pm citeranno i propri testi.
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