Il 17 aprile si avvicina e, con il cosiddetto referendum sulle trivelle ormai alle porte, anche i toni della discussione e del confronto si accendono. Nei giorni scorsi Meridionews ha dato voce alla geologa Michela Costa, che in un post condiviso da migliaia di persone aveva enunciato i motivi per cui diserterà il voto. Non sono mancate, a lei e a noi che l’abbiamo intervistata, critiche ed accuse. E non sono mancate le risposte agli otto punti sollevati dalla giovane geologa: dalla docente universitaria (ed attivista ambientale) Maria Rita D’Orsogna ad Andrea Boraschi, responsabile della campagna energia e clima per Greenpeace Italia.
Noi abbiamo chiesto un ulteriore approfondimento ad Alberto Bellini, professore associato di convertitori, macchine ed azionamenti elettronici all’università di Bologna. Esperto di fonti energetiche rinnovabili, Bellini ha anch’egli destinato una lettera, pacata e dettagliata, a Michela Costa. «Ho cercato di rispondere con tono razionale e non polemico – premette Bellini -. Il nostro paese ha assoluto bisogno di discussioni aperte e strategiche. Ad esempio: negli anni ’70 le imprese italiane operanti nel settore della meccanica e della manifattura si sono convertite verso infrastrutture e servizi per oil&gas. E questa è stata una scelta vincente, perchè l’Italia ha assunto un ruolo di rilievo pur non avendo grandi giacimenti». È possibile e giusto auspicare un cambio di passo, che poi è il senso del voto del 17 aprile?
«Oggi ci vuole il coraggio e la capacità di convertire queste aziende verso il settore delle energie rinnovabili – osserva ancora il docente universitario -. Un settore dove vi è ampio spazio per tecnologia e servizi: piattaforme e macchine per generatori eolici, collettori solari (termici e fotovoltaici), generatori oceanici, materiali per l’edilizia, impianti per il condizionamento ambientale, sistemi di accumulo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, sistemi di produzione di idrogeno (o derivati) da fonti rinnovabili». In assenza di altre forme per incidere nelle scelte decisionali, perché viene visto come un male il fatto che un referendum si trasformi in una questione politica? Dalla lettera di Bellini emerge invece che questo passaggio diventa una necessità. «La Strategia Energetica Nazionale (SEN) proposta dal governo Monti non è coerente con gli obiettivi di Parigi e della Cop21. Tutte le previsioni ci dicono che dobbiamo lasciare nel sottosuolo gli idrocarburi se non vogliamo superare il limite di due gradi centigradi di aumento di temperatura rispetto all’epoca pre-industriale. Si deve programmare una transizione energetica che preveda quote rilevanti di rinnovabili nel 2030 e il progressivo azzeramento dei combustibili fossili. Il referendum è uno strumento per chiedere una revisione della SEN – è la teoria di Bellini – In modo improprio, non lo nego, ma fino ad ora i governi sono stati sordi alle richieste di revisione».
Quel che è certo è che finora le fonti rinnovabili non sono accessibili a chiunque. Non si tratta di una questione di coerenza, come teorizzato da Michela Costa, ma di convenienza. Secondo gli ottimisti e razionali, che sostengono le ragioni del No, in sostanza chi vota per il sì al referendum dovrebbe di conseguenza abbandonare ogni utilizzo del petrolio e del metano, ogni collegamento con ogni derivato dai combustibili fossili. «Si potrebbe invertire questa teoria – osserva ancora Bellini -. Quale futuro prevede chi sostiene il No? Le riserve certe di idrocarburi (leggendo i dati del Ministero) garantiscono autosufficienza nazionale per sei mesi, che diventano quattro anni se consideriamo anche le riserve probabili (al 50 per cento). Il problema occupazionale e industriale si riproporrà allora a breve e, anzi, sarà peggiorato perchè nel resto d’Europa e nel mondo le imprese stanno investendo su altre tecnologie. Mentre noi – conclude – continueremmo a creare professionalità in un settore destinato a scomparire per motivi macroeconomici».
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