Tricolore e Ramadan, in piazza la cena dopo il digiuno Cous cous e pasticcini sotto ai campanili di Acireale

La nuova luna è ancora di là dal sorgere, ma non occorre attendere l’imminente fine del mese benedetto per fare festa. La gioia della rottura del digiuno, l’iftar, per i musulmani si rinnova ogni sera di Ramadan, al tramonto. E si raddoppia all’ombra di due chiese, nella città dei campanili e dei vescovi, mentre un grande Tricolore sventola dalla cattedrale. Una folla chiassosa e variegata si accalca intorno al tavolo traboccante di vivande e spezie, un profumato cous cous di carne, l’harira (la zuppa di ceci del Marocco) e un vassoio di pasticcini. Siamo ad Acireale ma ieri sera piazza Duomo è la piazza dell’ummah, della comunità senza confini dell’Islam. La trovata dei musulmani di Sicilia ha funzionato, e pazienza per le polemiche. Qualcuno aveva storto il naso per la coincidenza fra l’iniziativa e la ricorrenza del 2 giugno. «Stamattina abbiamo festeggiato la Repubblica che è pure la mia, anche se non c’ero perché ero a lavoro, di sera abbiamo voluto creare questo momento di condivisione», racconta Rida Hajari. Italianissimo e religiosissimo 23enne, di origine marocchina, incaricato dal padre, immigrato di prima generazione nel Catanese, di curare le «relazioni esterne» della moschea di Acireale.

Sono circa un centinaio gli assidui frequentatori del luogo di preghiera di via Lettighieri, punto di riferimento per l’islam etneo in crescita così come la grande moschea della Misericordia di Catania. Oltre ai catanesi, ci sono anche i musulmani di Caltanissetta, in un vortice di etnie: marocchini, tunisini, etiopi, palestinesi, egiziani, ma soprattutto italiani. La comunità isolana sunnita, riunita nella Federazione regionale islamica, ha unito le forze per organizzare l’iftar in piazza. «Hanno cucinato le nostre madri – sorride Rida – Anche se forse a casa mia ha cucinato di più mio padre». A dividere i piatti ci sono perlopiù i giovani. Fra i tavoli, dove siedono alcuni imam, gli anziani, donne e bambini, si aggirano tanti curiosi, laici, qualche prete in abiti borghesi. A cena quasi finita sbuca dal vicino palazzo diocesano il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti. Si sofferma per un cordiale scambio di battute con Ismail Bouchnafa, marocchino da decenni trapiantato a Catania, presidente della Federazione e numero due della moschea di piazza Cutelli. «È la prima volta che organizziamo una cosa del genere, siamo molto felici», dice trafelatissimo Bouchnafa mentre cerca con lo sguardo il sindaco Stefano Alì e gli altri esponenti dell’amministrazione M5s di Acireale. Il Comune ha patrocinato l’iftar street assieme all’associazione Costarelli. Per una sera le rigide parole d’ordine su accoglienza e immigrazione che i grillini si trovano a mutuare dagli alleati di governo della Lega restano fuori dalla porta.

«Sono giornate come questa che mostrano quanto la comunità islamica sta crescendo in maniera sana», aggiunge il ventenne Rida. Il progetto per il prossimo futuro è di acquistare i locali che ospitano, al momento in affitto, la moschea acese. «Stiamo pensando di comprarla, i nostri genitori vogliono lasciarci un luogo di culto dove poter pregare perché moschea significa controllo e visione di quello che è l’Islam. C’è chi non vuole le moschee, ma è vietandole che si crea l’odio. Noi arabi dovremmo aprirci, ma la cosa deve essere reciproca». Al microfono, nel frattempo, vengono date le indicazioni per la raccolta differenziata di piatti e bicchieri usati durante la serata. «Che cosa sta dicendo?», chiede un amico a Rida, riferendosi alle parole in arabo che provengono dagli altoparlanti. In italiano si sente solo «ordinanza del sindaco». «Che è la nostra religione a imporci di essere ecologisti: bisogna rispettare la natura, l’ambiente e tutte le cose», risponde Rida. A quel punto arriva una battutaccia sul terrorismo. E Rida risponde, sorridendo: «Quando la finisci con questi stereotipi?». 

Francesco Vasta

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