Trattativa Stato-mafia, torna Massimo Ciancimino «De Donno e Mori volevano incontro non ufficiale»

L’esame di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo è ripreso con le domande del pm Nino Di Matteo su faccia di mostro. E continuerà la prossima settimana. «Mio padre non mi ha mai svelato l’identità del signor Franco e io, negli album fotografici che mi hanno mostrato i magistrati, non l’ho mai riconosciuto. Lui faceva da tramite tra mio padre e le istituzioni, sapeva dei rapporti che mio padre aveva con Bernardo Provenzano e con quelli che erano i vertici di Cosa nostra in Sicilia». Una figura misteriosa quella dell’esponente dei Servizi segreti, che negli anni sarebbe stato più volte contattato da Massimo Ciancimino. «Avevo una scheda sim con la quale lo chiamavo regolarmente – dice -. Nel periodo in cui mio padre era vivo, era lui a darmi il numero di telefono. Io andavo in cabine telefoniche sempre diverse e lo chiamavo, credo sempre allo stesso numero di Roma. Questa sim nel 2006 è stata sequestrata durante le indagini a mio carico per riciclaggio. Quando ne ho richiesto la restituzione insieme ai telefoni, la scheda mancava e non hanno saputo dirmi dov’era. Furono i carabinieri a occuparsi della perquisizione».

Ciancimino e i rapporti con Giuseppe De Donno. «Mio padre ha conosciuto il capitano del Ros dei carabinieri in occasione di una perquisizione nell’ambito dell’inchiesta su mafia e appalti. – racconta Ciancimino -. Era il giugno 1990 presso la nostra abitazione in un residence di Mondello. De Donno era tra quelli che conducevano l’operazione». Il pm chiede se padre e figlio abbiano mai avuto modo di discutere dell’operato del militare. «Sì, io in lui percepivo umanità. Lo incontrai spesso in Tribunale, dove andavo a prendere informazioni – racconta Ciancimino jr -. Anche con Falcone si era creato un buon rapporto, mi dedicava anche lui il suo tempo. Il giudice mi aveva manifestato un malessere perché mio padre aveva scaricato tutte le colpe su mio fratello piccolo, Sergio, per la storia del denaro».

lI 1992 e l’omicidio di Salvo Lima. «Quando fu ucciso – dichiara il figlio dell’ex sindaco mafioso – mio padre era libero, ma la residenza ormai era a Roma e ci trovavamo lì. Lui reputava brutale il modus operandi dell’omicidio, era parecchio impressionato. Mio padre mi disse di andare a Palermo e di parlare con mio fratello Giovanni per fargli rappresentare il nostro lutto al funerale». Poco dopo la morte di Lima, continua Ciancimino, i corleonesi Nando Liggio e Sebastiano Purpura avrebbero tentato di mettersi in contatto con il padre. «Erano terrorizzati per quello che avevano visto – racconta Massimo Ciancimino – Volevano rassicurazioni da mio padre che avrebbe parlato con il ragioniere, cioè Provenzano». Viene fissato così un appuntamento in uno studio dentistico di Palermo. «Io accompagnai mio padre – continua il testimone – Aspettai in sala di attesa, ma mio padre mi raccontò poi che Provenzano era preoccupato. Gli disse che Riina era impazzito e che l’omicidio Lima era solo l’inizio». Nella lista infatti c’erano altri politici e magistrati. «Mio padre considerava Riina un animale – racconta ancora – Secondo lui non capiva che, alzando il livello, ci sarebbero state ritorsioni da parte delle istituzioni».

La reazione alla strage di Capaci. «Mio padre diceva “Questa non è mafia, ma terrorismo” – continua il suo racconto Massimo Ciancimino -. Io, dopo la strage, incontrai il capitano De Donno in volo mentre tornavo a Palermo, era fine maggio 1992. Mi chiese di viaggiare accanto e, parlando della strage, domandò se ero in grado di convincere mio padre a ricevere lui e un suo superiore, Mario Mori, per parlare della situazione». Un incontro informale «per porre fine a questa contrapposizione tra Stato e mafia, voleva incontrare Provenzano e Riina». Ciancimino jr racconta di aver riferito al padre, che gli chiede innanzitutto di portare da lui a Roma il signor Franco. Poi «mio padre mi disse di fissare il primo appuntamento con De Donno per i primi di giugno in una caserma nei pressi dei Parioli e dopo pochi giorni venne a casa nostra. L’incontro fu da soli, lui e mio padre».

Il papello. Massimo Ciancimino ha raccontanto in aula anche delle richieste di Riina per fare terminare le stragi. Documento che Ciancimino jr racconta poi di aver recuperato in casa a Roma, a San Sebastianello, conservato dentro un tomo. «Il 29 giugno – conclude il testimone – incontrai al bar Caflish di Mondello il dottor Scinà e mi consegnò una busta per mio padre. Quando lui lesse quelle proposte, che considerò irricevibili, esclamò: “Il solito testa di minchia“».

Marta Genova

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