Sarebbero stati asserviti alle cosche mafiose trapanesi. È questa l’accusa che la Procura di Trapani rivolge a Salvatore e Nicolò Candela, padre e figlio, imprenditori edili a cui è stato notificato un provvedimento di sequestro per un valore complessivo di 6 milioni di euro. I sigilli sono stati apposti a otto immobili, 37 auto, furgoni e mezzi meccanici, cinque società, dieci partecipazioni in altre società e 114 tra conti correnti e rapporti bancari. L’operazione è stata condotta dal personale della polizia e della guardia di finanza.
Nella storia del gruppo Candela numerosi lavori nell’ambito pubblico, tra i quali anche appalti legati all’aeroporto Falcone–Borsellino di Palermo e alla caserma militare Beghelli, nel quartiere palermitano di San Lorenzo. Secondo le indagini – divise in due tronconi tra seconda metà degli anni Novanta e la metà degli anni Duemila – i Candela, stando a quanto riportato dall’agenzia di stampa Agi, avrebbero «garantito a Cosa nostra la gestione delle opere edili, anche grazie alla compiacenza di funzionari corrotti».
Sotto la lente della Procura, inoltre, alcuni pizzini – trovati ai boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo – e un tentativo di corruzione all’interno degli uffici della Provincia di Trapani, con tanto di tangente da 50mila euro, per influenzare la gara per l’adeguamento dell’istituto tecnico per geometri di Trapani. I nomi dei Candela erano comparsi, tra il 2004 e il 2007, nelle inchieste Mafia e Appalti condotte dalla squadra mobile. «Entrambi gli imprenditori, padre e figlio – ha dichiarato il maggiore della guardia di finanza, Michele Ciarla – facevano parte assieme ad altri professionisti di un cartello di spartizione degli appalti». Che poi ha aggiunto che la vicenda dei Candela «è la dimostrazione che a volte gli imprenditori vengono colpiti da alcune indagini ma poi restano impuniti, fino ai sequestri patrimoniali».
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