Baracche improvvisate, tetti in lamiera, tavole di legno e vecchie lenzuola per ripararsi dal sole, rifiuti dappertutto. Un accampamento improvvisato, in uno dei piazzali dell’Ipab Serraino Vulpitta, da tempo abbandonato e terra di nessuno. Qui vivono dieci migranti. Sono tutti giovani tra i 22 ed i 26 anni provenienti da Gambia, Senegal, Eritrea. Tra di loro qualche nord africano. Unico scorcio di civiltà, il padiglione centrale dell’immensa struttura che ospita il centro di riabilitazione della casa di cura Sant’Anna.
Alzando gli occhi, si intravedono le finestre dell’edificio che fino al 2014 ospitava il Centro di identificazione ed espulsione (Cie) inaugurato nel 1998 e teatro della strage che si consumò l’anno dopo, quando, a seguito di un tentativo di fuga, all’interno della struttura divampò un incendio in cui persero la vita sei extracomunitari in attesa di essere rimpatriati. Emmanuel (il nome è di fantasia) si avvicina lentamente al cancello socchiuso. «Noi siamo qui per lavorare, non siamo delinquenti – dice – ma non abbiamo un posto dove andare a dormire». Lavori nei campi, pagati a giornata e una miseria, intrappolati nel limbo della burocrazia italiana. Questa la vita di Emmanuel e i suoi compagni. In tasca i permessi di soggiorno scaduti. La speranza di rinnovo è legata ai tribunali. «È tutto in mano all’avvocato – spiega il giovane in un italiano stentato – la questura non lo rinnova se non hai un contratto di lavoro o la residenza».
Le condizioni igienico-sanitarie dell’area sono precarie. Manca l’acqua, l’elettricità e la scala antincendio è stata trasformata in una toilette a cielo aperto. Andrea è un volontario di strada. Nel suo tempo libero, si occupa dei tanti invisibili, quelli fuori dal circuito dell’accoglienza e senza fissa dimora. La situazione della baraccopoli del Serraino Vulpitta la conosce bene. «Molti di questi ragazzi – spiega – purtroppo non hanno la possibilità di affittare un appartamento. I soldi che guadagnano nei campi non bastano, per questo motivo – prosegue – gli viene negata l’iscrizione all’anagrafe del Comune, passo fondamentale per il rinnovo del permesso di soggiorno. Allo stato attuale sono degli invisibili senza alcun diritto».
Eppure secondo le linee guida sul diritto alla residenza dei richiedenti e beneficiari di protezione internazionale, in mancanza della dimora abituale la persona si considera residente in un luogo se fornisce elementi idonei a dimostrare il domicilio nel territorio comunale, cioè l’effettiva presenza. «Uno dei principali attori di questa situazione – prosegue – è l’ufficio Anagrafe di Trapani che rifiuta l’iscrizione di questi ragazzi nelle proprie liste. Ad aprile mi sono premurato di scrivere anche alla prefettura per segnalare la situazione e cercare di trovare una soluzione. Non ho mai ricevuto risposta». La baraccopoli improvvisata non è l’unico caso in città. Nella stessa situazione ci sono i tanti migranti che la notte si ricavano dei giacigli di fortuna all’interno della stazione o che dormono sulle panchine di piazza Tritone, prigionieri della burocrazia e con la paura costante di essere rimandati indietro.
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