Trapani, 1.500 presenze per Un mediterraneo di pace Disoccupato: «Colpire chi scappa non risolve le cose»

Trapani è mille colori, odori, sapori. La città che abbraccia i due mari e spalanca le porte dell’Europa. In migliaia attorno allo stesso tavolo perché «quello che la paura divide la cultura unisce». E il cibo è cultura, tradizione, condivisione. In 1500 hanno partecipato a Un mediterraneo di Pace, iniziativa promossa da un gruppo di giovani che in poco tempo ha raccolto le adesioni di oltre 80 realtà, associazioni, enti, società sportive, ristoratori, operatori turistici. 

Protagonista principale della manifestazione è stato il cous cous, piatto della pace per eccellenza. Sul lungo tavolo, allestito nel cuore del centro storico, pietanze di diversi paesi e tra una portata e l’altra, spazio ai racconti dei migranti, quelli che sono riusciti a superare le barriere della Fortezza europa. Storie di speranza, ma soprattutto di voglia di riscatto e libertà. Un miscuglio di sapori, religioni e tradizioni. 

C’è Ibrahim, che ha raccontato il suo percorso di integrazione. Fuggito dal Senegal, è arrivato in Italia nel 2016. «Studiavo – racconta – poi sono stato costretto ad andare via e mi sono trasferito in Burkina Faso, ma anche lì le cose non andavano bene, così sono andato in Libia, nella speranza di raggiungere l’Italia per trovare lavoro, una nuova vita. Ricordo ancora la traversata: quattro giorni in mare, eravamo più di cento, stipati come bestie a bordo di un barcone». A differenza di tanti che non sono mai arrivati, lui ce l’ha fatta. Oggi è perfettamente integrato e fa l’arbitro di pallavolo. 

C’è anche Leo, oggi barista a raccontare il suo arrivo. «Quando ho raggiunto l’Italia – ha sottolineato nel corso del suo breve intervento – i nemici da combattere erano gli albanesi. Oggi la storia si ripete, oggi bisogna combattere gli africani». Alle loro storie si mescolano quelle di tanti giovani e non. C’è Giuseppe, attualmente disoccupato. «Non so cosa mi riserverà il futuro, attualmente sono in cerca di lavoro. Sono tempi duri, ma prendersela con questi poveri disgraziati che fuggono per ragioni diverse non cambierà di certo le cose. La colpa è solo di chi non ha saputo governare». 

Proprio sul lavoro si è concentrato il discorso di Peter, che adesso è un operatore della Croce Rossa. «Quello che chiediamo è solo di lavorare in maniera regolare, con contratti adeguati. In un paese dove vige il caporalato questa deve essere una battaglia comune, non solo per i migranti, ma anche per gli stessi italiani. Nessuno deve essere sfruttato. Siamo tutti fratelli, nelle nostre vene scorre lo stesso sangue». Il sorriso di Mohammed incrocia quello di nonna Caterina. «Il cous cous io lo mangio con il pesce, ma anche questo è buono», dice l’anziana. Sul perché ha voluto partecipare afferma: «Vedo alla televisione le immagini di questi che scappano e mi piange il cuore, penso che potrebbero essere i miei nipoti. Io sono una di chiesa e il Signore insegna che bisogna aiutare tutti. Siamo tutti fratelli e sorelle».

Pamela Giacomarro

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