Totò Riina sulla trattativa Stato mafia: “Erano loro che mi cercavano”. E l’Italia dei grandi intrighi trema

Ventun anno dopo comincia a venire fuori la verità sugli anni bui che segnarono il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. A parlare, questa volta, non sono politici e funzionari dello Stato, ma quello che è stato per decenni l’indiscusso “Capo dei capi” della mafia siciliana: Totò Riina.

Impressionante quello che racconta oggi il capo della mafia corleonese: “Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me. Mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono i carabinieri”. (a sinistra, foto di Totò riina, tratta da trs98.it)

Queste frasi Riina le ha pronunciate qualche settimana fa mentre stava per essere trasferito dalla sua cella alla saletta dove si tengono le video conferenze. Il boss ha parlato davanti agli agenti penitenziari. Parole che, di fatto, confermerebbero le indagini della Procura della Repubblica del Tribunale di Palermo sulla cosiddetta trattativa tra Statro e mafia.

C’è una frase, in particolare, che fa riflettere. Là dove il boss afferma: “Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me”. Ebbene, queste parole sembrano un chiaro riferimento al dialogo segreto, avviato nel 1992, da alcuni ufficiali del Ros (il Reparto operativo speciale dei Carabinieri) con l’ex Sindaco di Palermo, Vito Ciancimino.

Riina ha parlato anche del suo discusso arresto, che è sempre stato al centro di aspre polemiche. “Mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino”, ha detto.

Il riferimento è a un altro boss corleonese, Bernardo Provenzano e allo stesso Vito Ciancimino. Una frase, quella di Riina, che confermerebbe quanto affermato da Massimo Ciancimino, figlio di Vito Ciancimino, che ha parlato degli incontri riservati del padre con l’ex comandante del Ros, generale Mario Mori.

A raccogliere queste frasi di Riina, come già accennato, sono stati agenti. Parole che sono finite in una relazione inviata ai magistrati della Procura di Palermo che si occupano della trattativa Stato-mafia, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. La relazione è stata depositata al processo per la trattativa tra Stato e mefia, che si svolge nell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo.

Riina ha detto di non sapere nulla del “papello”, le ipotetiche richieste presentate dai mafiosi allo Stato sulle quali si è detto e scritto tanto. Il boss ha parlato anche della strage di Capaci e dell’agenda rossa di paolo Borsellino, scomparsa il giorno della strage di via D’Amelio: “Il pentito Giovanni Brusca non ha fatto tutto da solo, c’è la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale anche per l’agenda rossa. Ha visto cosa hanno fatto? Perché non vanno da quello che aveva in mano la borsa e si fanno consegnare l’agenda. In via D’Amelio c’erano i servizi”.

Strage di Via D’Amelio colonna di fumo. Foto tratta da da www.altrainformazione.it

Insomma, piano piano sta venendo fuori quello che tutte le persone di buon senso hanno sempre pensato: e cioè che dietro le stragi di Capaci e di via d’Amelio non c’è solo la mafia, ma ci sono,come sempre, ‘pezzi’ di istituzioni del nostro Paese ‘deviate’.

Fa riflettere anche un’altra dichiarazione di Riina: “Io – dice il boss di Corleone – sono stato 25 anni latitante in campagna senza che nessuno mi cercasse. Com’è possibile che sono responsabile di tutte queste cose?”. Qui il discorso si allarga a un ‘vezzo’ tutto italiano.

Il nostro, infatti, è forse l’unico Paese al mondo che assicura ai boss della mafia latitanze trentennali o, addirittura, quarantennali. Ora, è quasi impossibile che un boss rimanga latitante per 30 o 40 anni senza opportune ‘coperture’.

“La vera mafia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra di loro – dice Riina -. Loro scaricano ogni responsabilità sui mafiosi. La mafia quando inizia una cosa la porta a termine. Io sto bene. Mi sento carico e riesco a vedere oltre queste mura”.

Al boss arriva anche un altro messaggio sibillino: “Appuntato, lei mi vede che possa baciare Andreotti? Le posso dire che era un galantuomo e che io sono stato dell’area andreottiana da sempre”.

In questo caso il riferimento è al ‘celebre’ presunto bacio tra Riina e Giulio Andreotti, che fu al centro del processo al sette volte Presidente del Consiglio del nostro Paese. Andreotti, accusato di reati di mafia, è stato assolto, anche se con una formula che fece molto discutere: secondo i giudici, il leader Dc avrebbe avuto rapporti con la mafia fino a prima del 1980 (reati prescritti), mentre in seguito avrebbe combattuto i mafiosi.

Resta da interpretare il significato di una frase: che significa, infatti, “io sono stato dell’area androttiana da sempre”?

I magistrati non hanno ancora interrogato Riina, che rimane imputato nel processo della trattativa tra Stato e mafia. Sono stati invece ascoltati gli agenti della polizia penitenziaria testimoni delle dichiarazioni del boss andate in scena nel carcere milanese di Opera. Gli agenti hanno confermato le parole del boss corleonese: “Quel giorno Riina era assolutamente lucido, cosciente, padrone di sé e ha scandito quelle frasi perché noi le sentissimo chiaramente”.

Non manca la nota ‘italiana’. Come la precisazione del direttore del carcere di Opera, Giacinto Siciliano. Che spiega: “La loquacità di Riina potrebbe avere un preciso significato quanto essere riconducibile a un deterioramento cognitivo legato all’età”.

La novità che emerge da questa storia è che, oltre a Massimo Ciancimino, attualmente detenuto, anche Riina comincia a parlare della trattativa tra Stato e mafia. Non solo. Fino ad oggi il “Capo dei capi” della mafia siciliana ha sempre difeso il suo amico Bernardo Provenzano. Ora non lo difende più.

Che cosa succederà adesso? Ricordiamo che Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato ucciso nel luglio del 1992 in via d’Amelio, nelle scorse settimane, ha manifestato preoccupazione per l’arresto di Massimo Ciancimino, testimone chiave nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Ora arrivano le parole di Riina. E l’Italia degli eterni intrighi trema.

 

Redazione

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