Nella politica siciliana non è come all’Università. Se hai un padre o una madre docente universitaria il posto – male che vada come ricercatore universitario e poi si vede – lo trovi. Ma se hai il padre o il fratello onorevole, beh, tutto diventa difficile. Difficilissimo.
Invece, a quanto pare, per il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, sembra tutto facile, visto che ha deciso di lanciare il figlio Toti in politica. Quali meriti avrebbe il figlio di Lombardo per essere eletto a Sala d’Ercole? Uno solo, a quanto pare: essere figlio di suo padre. (a sinistra Raffaele Lombardo e il figlio Toti, foto tratta da antoniocondorelli.wordpress.com)
Insomma: questo bizzarro presidente della Regione siciliana che vive nel culto del clientelismo ‘scientifico’ tiene famiglia: alla moglie – coltivatrice agricola improvvisata – l’ha riempita di soldi con i fondi dell’assessorato regionale alle Risorse agricole (ex agricoltura): un bel po’ di soldi per l’agriturismo e altri soldi non abbiamo ancora capito per che cosa.
Al fratello Angelo lo ha ‘nominato’ parlamentare nazionale: la parola “nominato” è appropriatissima, visto che l’onorevole Angelo è stato eletto a Roma con il ‘Porcellum’: ovvero con la legge elettorale che consente alle segreterie romane di ‘nominare’ i parlamentari nazionali.
Rimane da sistemare il figlio Toti. E ci sembra anche giusto: la moglie sì, il fratello pure e il figlio no? Giammai! Del resto, l’Autonomia – pardòn, l’autonomismo – si tramanda da padre in figlio, come i caratteri nei piselli d Mendel…
Non sempre, nella politica siciliana, i figli prendono il posto del padre. Un giorno – si era nella cosiddetta Prima Repubblica – ci capitò di chiedere a un potente democistiano come mai non aveva pensato di piazzare una dei propri figli in politica.
La risposta fu la seguente: “Guardi, gli unici che ci riusciti nel nostro partito sono stati Giuseppe Alessi e Giulio Bonfiglio. Gli altri non hanno nemmeno provato”.
Il “nemmeno provato” ci incuriosì. Così ponemmo timidamente la domanda: onorevole, perché ci dice “non ci hanno nemmeno provato?”. La risposta ci fece riflettere: “Perché porta male…”.
Obiettammo: però non ha portato male ad Alessi e a Bonfiglio padri. Il nostro onorevole ci rispose con un “Sorriso da Ignoto marinaio” di Vincenzo Consolo: “Gliel’ho detto: sono gli unici due riusciti…”.
Giulio Bonfiglio, figura eminente della Dc siciliana degli anni ’50 e ’60, agrigentino, fu presidente dell’Ars. Il figlio Angelo – che in verità non era meno bravo del padre – verrà eletto a Sala d’Ercole, sarà più volte assessore, presidente dell’Ars e presidente della Regione per quattro anni (dal 1974 al 1978). Lasciata l’Ars, sarà presidente della Sicilcassa e poi parlamentare nazionale. Restando sempre un grande avvocato penalista. (a sinistra, foto di Angelo Bonfiglio tratta da archiviofoto.unita.it)
Un po’ diversa l’avventura per Alberto Alessi, figlio del primo presidente della Regione siciliana, Giuseppe Alessi. Suo padre – ‘Il’ presidente della Regione – lasciata Sala d’Ercole veniva regolarmente eletto Senatore tra Caltanissetta, Gela e, se non ricordiamo male, Caltagirone.
A un certo punto Giuseppe Alessi si stancò di fare il parlamentare. Toccò così al figlio Alberto, appassionato di musica, entrare in politica. Era alla Camera dei deputati quando in Sicilia c’erano due collegi: Sicilia occidentale (dove veniva eletto, per l’appunto, Alberto Alessi) e Sicilia orientale.
Questi due sono stati i figli ‘riusciti’. Egli altri? In effetti, i casi non sono tanti e non sono esaltanti.
Una vicenda particolare si verifica nel 1986. Muore Nino Salvo, potente esattore siciliano di Salemi. I Salvo – Nino e Ignazio – dai primi anni ’60 del secolo passato in poi, avevano fatto eleggere decine di parlamentari nazionali e regionali. Nella Dc e non soltanto nella Dc.
Quando Nino Salvo passa miglior vita tutti si defilano. Tutti meno uno: l’onorevole Salvatore Grillo, detto ‘Turi’. Parlamentare regionale eletto nella provincia di Trapani, Grillo è l’unico deputato che, pur sapendo che i suoi sponsor era un po’ in disgrazia (erano già in corso le indagini condotte da Giovanni Falcone), non si scompone: “Sono sempre stato amico di Nino Salvo – dichiara – non capisco perché non dovrei andare al suo funerale”.
Tutto questo avveniva due anni prima che Leonardo Sciascia scrivesse sulle pagine del Corriere della Sera il celebre articolo sui ‘Professionisti dell’Antimafia’, ovvero su chi approfittava dall’antimafia per fare carriera politica.
Anche se ancora non ‘pennellati’ dallo scrittore di Racalmuto, i ‘Professionisti dell’Antimafia’ erano già all’opera: anche nella Dc siciliana. E fu infatti la Dc di Ciriaco De Mita – che tre anni prima, durante il congresso regionale della Dc, ad Agrigento, con grande coraggio, aveva messo alla porta Vito Ciancimino – a mettere fuori dalle liste ‘Turi’ Grillo.
L’onorevole Grillo non fa una piega. Si limita a dire: “Bene, è giusto che il nostro Partito si rinnovi. Largo ai giovani”. Anzi, ai giovanissimi: il figlio di ‘Turi’ Grillo, Massimo, aveva allora ventun anni: il papà lo candida al suo posto e lo fa eleggere all’Ars. Lasciando i maggiorenti della Dc siciliana dell’epoca belli & fregati…
Grillo farà il parlamentare per molti anni. Ma la sua non sarà una carriera politica irresistibile (tant’è vero che oggi non è più parlamentare).
Un altro caso che fece discutere – questa volta si tratta di un fratello – andò in scena alle elezioni regionali del 1991 nel collegio di Agrigento. La Dc, in quel collegio, eleggeva ben quattro deputati: Salvatore Sciangula, Gaetano Trincanato, Angelo Errore e Angelo La Russa. L’allora segretario regionale della Dc, Calogero Mannnino, volle mettere in lista il fratello, Pasquale Mannino.
Apprezzato professore di Lettere nel liceo classico di Sciacca, protagonista – in qualità di commissario – della rinascita delle Terme di Sciacca, Pasquale Mannino andava però a rompere i delicati equilibri interni alla Dc agrigentina. Uno dei quattro parlamentari uscenti – i già citati Sciangula, Trincanato, Errore e La Russa – sarebbe rimasto fuori.
Pasquale Mannino venne eletto. Rimase fuori La Russa, che perse il seggio per un soffio pur prendendo un sacco di voti. Da lì polemiche roventi. Poi l’esplosione di Tangentopoli e tutto finì.
Un altro caso trapanese – questo più recente – è quello dei Costa, padre e figlio. Il parlamentare storico della famiglia è stato Enzo Costa, che veniva eletto all’Ars nel Partito socialdemocratico. Dopo è toccato al figlio David Costa, che è stato parlamentare regionale e anche assessore. David Costa è finito nel ‘tritacarne’ della giustizia in una vicenda un po’ in bilico tra Kafka e Pirandello. Neanche lui è stato molto fortunato. Anzi.
Nemmeno Angelo Lombardo – fratello del presidente della Regione – è stato molto fortunato. Se è vero che, dopo l’elezione a Montecitorio, è finito inquisito per mafia con il fratello Raffaele. Tutt’e due sotto processo per mafia. Con un finale ancora tutto da scrivere. (a sinistra, foto tratta da bachecaebookgratis.blogspot.com)
Raffaele Lombardo, però, non si arrende. E ci riprova con il figlio. Una gli deve riuscire. Così, almeno, noi pensiamo che lui pensi. Live Sicilia ricorda che nel giugno scorso l’attuale presidente della Regione, in un’intervista rilasciata allo stesso giornale, aveva negato la candidatura del figlio.
Stupiti per la giravolta lombardiana? Noi, no. Per Lombardo la parola serve solo a mascherare il pensiero. Nel 2007 l’attuale presidente dimissionario della Regione era “fermamente contrario” al rigassificatore di Porto Empedocle. Agli atti dell’Ars c’è un’interpellanza chilometrica firmata da tutti i parlamentari regionali dell’epoca in cui si diceva no, no e poi no al rigassificatore.
Due anni dopo, nell’estate del 2009, con accanto l’assessore Gaetano Armao, Lombardo autorizza il rigassificatore a due passi dalla Valle dei Templi di Agrigento…
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