Un ritorno al passato giustificato da «quattro anni di leggi sbagliate ed inconcludenti». Il gruppo parlamentare di Forza Italia all’Assemblea regionale siciliana ha lanciato stamane da Catania la propria proposta per azzerare la riforma delle province, di fatto ancora in itinere, voluta dal presidente della Regione Rosario Crocetta. A presentare il disegno di legge il senatore Vincenzo Gibiino e il capogruppo Marco Falcone. Pochi e chiari punti fondamentali nella norma che, «se si volesse, si potrebbe adottare in pochissimo tempo – dice il primo – presentiamo questo disegno perché nessuno deve avere alibi».
Ritorno al passato significa in primo luogo elezione diretta del presidente della provincia e dei consiglieri provinciali – «perché c’è sempre più bisogno di ridare spazio alla volontà popolare», spiega Falcone –, senza però eludere il taglio di qualche poltrona. Forza Italia propone infatti di ridurre del 50 per cento – calcolato sulle composizioni pre-riforma Crocetta – il numero di componenti degli organi di governo, «prevedendo che in nessun caso i consiglieri possano essere più di venti». Per Palermo, Catania e Messina resterebbe comunque in vigore la titolarità di città metropolitane, al fine di poter ancora attingere alle fonti di finanziamento nazionale ed europee e di non perdere i fondi del Patto per il sud.
I parlamentari hanno poi tracciato un bilancio dei quattro anni della riforma, basata su ben quattro differenti interventi legislativi fra 2013 e 2016. «Non si è registrato nessuno dei risparmi promessi dal governo regionale, il costo dei liberi consorzi guidati dai commissari è salito a 69 milioni di euro rispetto ai 64 del 2011 – annota Falcone – ma ancora più grande è stato il costo in termini di perdita della rappresentanza, di contatto venuto meno fra istituzioni e cittadini». Ancorare di nuovo le province al voto diretto dei siciliani servirebbe invece, secondo il componente della prima commissione Affari istituzionali dell’Ars, «a ridare funzionalità e credibilità ad enti che devono fare da cerniera fra Comuni e Regione, tornando a occuparsi di strade, scuole, servizi».
Gibiino pone l’accento sui tempi: «Chiediamo l’apertura di una finestra legislativa per approvare il nostro ddl entro il 30 aprile, dopo quella data tutto si complicherebbe ancor di più per le campagne elettorali in arrivo». Sempre dentro la commissione si proverà a capire, «parlando con tutti», quanto potrà essere larga la convergenza parlamentare sul ddl.
Ruota poi ancora intorno all’urgenza di «rendere di nuovo i cittadini protagonisti della politica» il ragionamento di Falcone quando si passa al capitolo candidature per la presidenza della Regione. Da poco il deputato si è dimesso dal comitato organizzatore delle primarie che il centrodestra siciliano dovrebbe celebrare per individuare un nome. Il prossimo 27 marzo scade il termine per proporsi nella consultazione. «In un momento così particolare, di diffidenza verso la politica, occorre più partecipazione dal basso, ma nel mio partito e non solo ci sono ancora dissensi su questa modalità di scelta», ammette Falcone, alludendo al nodo della galassia centrista, ancora concentrata sull’idea di un candidato dal «volto moderato» che aggreghi quante più forze possibili in chiave anti-5stelle.
Idea che viaggia parallela alle primarie, su cui invece tira dritto Nello Musumeci, leader di Diventerà bellissima. È l’asse fra Saverio Romano e il coordinatore azzurro Gianfranco Miccichè a rafforzarsi sempre più con il malcelato timore, fra le altre anime del partito, che Forza Italia finisca per farsi dettare l’agenda dall’esterno. Per Falcone, invece, «è necessario di fare chiarezza sulla nostra posizione, più si perde tempo e più sarà difficile che gli elettori ci comprendano».
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