«Non lo spegni il sole neanche se gli spari. Rimarrai vivo in tutti noi». È lo striscione affisso tra i balconi davanti alla casa da cui è uscita la bara bianca con la scritta «Enzo» in corsivo di colore dorato. Sollevata da decine di persone tra gli applausi, le urla anche di insulti come «bastardi» rivolte a chi in quel feretro ha fatto finire Enzo Timonieri, conosciuto da tutti sia nel suo quartiere San Cristoforo che sui social con il soprannome di Caterina. Il 26enne ucciso lo scorso 12 febbraio e ritrovato cadavere seppellito sotto la sabbia in un terreno in contrada Vaccarizzo, dopo quasi quattro mesi in cui amici e parenti lo piangevano già per morto, in seguito alle dichiarazioni rese dai fratelli Michael e Antonio (detto Ninni) Sanfilippo che si sono autoaccusati del delitto tirando in ballo anche il cugino Salvatore Sam Privitera come organizzatore e Natale Nizza nel ruolo di mandante.
Il questore di Catania aveva imposto delle prescrizioni per la celebrazione delle esequie di Timonieri. Per motivi di ordine pubblico erano infatti stati vietati cortei e ogni tipo di manifestazione di pubblico cordoglio. La salma del 26enne ritenuto vicino al clan Nizza avrebbe dovuto essere trasportata direttamente da casa al cimitero, senza nemmeno passare dalla chiesa. E, invece, centinaia di persone (quasi tutte senza mascherina e non rispettando nessun distanziamento sociale) hanno partecipato ammassandosi davanti alla casa da cui è uscita la bara portata a spalla. Alcuni con indosso una maglietta bianca con sopra una stampa del volto di Timonieri.
Appoggiate al muro, da un lato e dall’altro della strada, almeno una ventina di enormi corone di fiori. Palloncini bianchi e dorati sono stati fatti volare in un cielo già colorato dai moltissimi fuochi d’artificio sparati per l’occasione. A rendere l’aria a tratti irrespirabile ci hanno pensato anche dei fumogeni colorati che sono stati accesi. Tra chi piange e chi si abbraccia, c’è chi si è fatto strada per toccare il feretro e, in qualche caso, perfino baciarlo, per dare l’ultimo saluto al giovane. Per un lungo tratto di strada, poi la bara è stata accompagnata da un fiume di motorini con i clacson strombazzanti.
Il 26enne, come è stato confermato anche dall’autopsia, è stato ucciso con tre colpi di pistola calibro 9×21 sparati alle spalle mentre la vittima si trovava in macchina con i fratelli Sanfilippo che adesso, in quanto aspiranti collaboratori di giustizia, sono stati già sottoposti al programma di protezione. Convinto prima a liberarsi della pistola con cui era solito girare, Timonieri la sera del 12 febbraio era stato invitato a fare un giro in una zona periferica della città per andare a recuperare altre armi. Stando a quanto emerso finora, il movente del delitto sarebbe da ricondurre alla gestione di un canale di approvvigionamento della droga che la vittima avrebbe voluto gestire per conto proprio.
Intanto, però, emergono anche altre vicende che potrebbero essere collegate alla morte del 26enne: nei primi giorni di febbraio, infatti, ci sarebbe stata una sparatoria nelle zona del viale Mario Rapisardi in cui proprio Timonieri sarebbe stato uno dei protagonisti. Le indagini degli investigatori vanno avanti. Altro conflitto a fuoco legato, in qualche modo, a questa vicenda è quello avvenuto a Librino, in viale Grimaldi, nell’agosto del 2020 in cui persero la vita Enzo Scalia (detto Negativa), che era amico dello stesso Timonieri, e Luciano D’Alessandro. Da una parte il clan Cappello e dall’altra alcuni appartenenti dei Cursoti milanesi tra cui anche i fratelli Sanfilippo che, proprio dopo quel fatto di sangue, sarebbero passati tra le fila del clan Nizza.
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