Dall’indagine della procura di Catania e delle fiamme gialle che, questa mattina, ha fatto scattare le manette per il padre, la madre, la sorella e lo zio paterno della consigliera comunale Erika Marco – ma non per lei – a emergere è un fitto giro di soldi che dalle casse dell’Istituto musicale Vincenzo Bellini, attraverso conti correnti privati e carte prepagate, sarebbero finiti nelle tasche di Fabio Marco e di quello che è stato definito come il «promotore dell’associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio», il consulente del lavoro Sergio Strano.
Un meccanismo che, secondo le accuse mosse dagli inquirenti, vedeva nell’istituto il cosiddetto bancomat per il gruppo che avrebbe utilizzato il denaro proveniente dal Comune, dalla Regione e dallo Stato per fini privati. In particolar modo, come spiegano i baschi verdi, a costituire la ragnatela delle imprese dai cui conti correnti passavano quattro milioni di euro accertati dalle indagini, sono realtà con sede in Sicilia ma anche nel Lazio e in Campania. Tra queste figurano infatti società di Catania, come la New light di Alfio Platania, Angolo della luce srl, The royal meeting, S.c. servizi srl, Easy business srl, D.I. Palmisciano Davide, Teleteam srl unipers, Z.c.t (Misterbianco) e Impresa di costruzione edile Casimiro Vitale (Centuripe). Altre, invece, di Roma, Gaeta e Itri, come la Ro.vi.b. srl, Maxi clean S.c.a.r.l., S.c. servizi e Sfera srl. E infine la napoletana Securita srl di Nola. Che la Sicilia non fosse l’unica area utilizzata dal gruppo per far girare il denaro lo si evince anche dalla provenienza di due imprenditori arrestati, ovvero Massimo Lo Rosso e Raffaele Carucci, entrambi originari della provincia di Salerno.
Quello in questione è quello che i finanzieri chiamano «il secondo stratagemma», che vedeva appunto il coinvolgimento di «un reticolo di imprese commerciali compiacenti spesso riconducibili alle stesse persone fisiche e generalmente inadempienti al Fisco», come scrivono le fiamme gialle. In tutto i soggetti imprenditoriali coinvolti sono circa venti e risultano aver ricevuto alcuni pagamenti a fronte di prestazioni mai effettuate a favore dell’ente di formazione musicale. In questo caso la «distrazione di denaro pubblico» sarebbe stata favorita da una «contabilità artefatta» e da «falsi mandati di pagamento».
All’interno del «disegno criminale», come specificano gli inquirenti, il ruolo delle imprese sarebbe stato quello di «aprire conti correnti e carte prepagate nei quali far confluire i soldi sottratti» e, successivamente, fare una serie di operazioni di home banking, emissioni di assegni e prelievi in contanti dei fondi «acquisiti in modo illecito» per riutilizzarli a «favore degli indagati». Ovvero, in questo caso, la famiglia Marco e Sergio Strano.
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