«Entro la prossima settimana chiuderemo la questione, anche perché voglio evitare la speculazione elettorale». Non vuole più aspettare Giorgio Assenza, presidente del collegio dei questori dell’Ars, al quale il numero uno di Palazzo dei Normanni Gianfranco Miccichè ha delegato la trattativa sindacale per ripristinare i tetti degli stipendi ai super burocrati. L’ultima puntata della telenovela si è consumata ieri, quando la bozza di accordo è stata sottoposta dal deputato di Diventerà bellissima al collegio. Freddi i sindacati, che si sono riservati di decidere una volta esaminata meglio la proposta – ma c’è già chi ha preannunciato una bocciatura – e ancor più netto il Movimento 5 stelle nel dire «no».
«Altro che tetti agli stipendi dei dipendenti – hanno scritto i parlamentari grillini in un comunicato – l’ufficio di presidenza, lasciando fuori dai conteggi le varie indennità, di fatto ha ritoccato verso l’alto le buste paga, tant’è che alcune figure arriveranno a percepire somme che oscillano intorno ai 300 mila euro l’anno». Il limite dei 240mila euro annui per i compensi più al vertice – rimasto in vigore fino al 31 dicembre scorso, data di scadenza del precedente accordo sui tagli – verrebbe, secondo i pentastellati, bypassato tenendo fuori dal tetto alcune indennità aggiuntive. «Giocando sulle varie voci della busta paga – ha aggiunto il vicepresidente Ars Giancarlo Cancelleri – l’ufficio di presidenza ha aggirato il limite, portando alcune retribuzioni di figure apicali a sforarlo abbondantemente». Senza il vecchio accordo in vigore, gli stipendi del personale sono tornati a crescere di oltre il 30 per cento; è stato così a gennaio e lo sarà pure per febbraio. Nelle more della conclusione della trattativa, tutti gli interessati percepiscono lo stipendio pre spending review, sfiorando in qualche caso pure i 340mila euro.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche il deputato ribelle dell’Udc Vincenzo Figuccia, tenendo sempre nel mirino l’avversario Miccichè: «Stabilire un limite massimo per le erogazioni stipendiali a 240mila euro è una cosa, dire che il tetto rimane a 240mila, però, e da questo sono escluse indennità di funzione e altro, è cosa diversa», ha detto in un comunicato, chiedendo al presidente dell’Ars «un input preciso per non rischiare di non riconciliarsi con l’opinione pubblica».
Assenza prova a fare chiarezza a MeridioNews: «I 5 stelle erano presenti e non hanno bocciato i numeri dell’accordo, si sono invece mostrati critici perché chiedevano di non equiparare il trattamento dei dipendenti Ars a quello del Senato dal 2021, punto che non potevamo inserire adesso». Vero è, poi, che rimangono fuori dal tetto le famigerate indennità, ma ciò secondo il deputato non pregiudicherebbe i risparmi futuri. «Le indennità di funzione e mansione, di produttività e quelle variabili come nel caso di straordinari e festivi non sono comprese nel tetto – spiega Assenza – ma si ritorna comunque alla situazione del 2017». In tre anni l’Ars non sgancerebbe assegni per «circa 2 milioni e 100mila euro di compensi e nel solo 2018 si risparmierebbero 662mila euro».
Novità sono previste anche per le nuove assunzioni. «Abbiamo previsto un ulteriore abbassamento del tetto, comprensivo stavolta anche delle indennità», precisa Assenza. Ad esempio un assistente parlamentare al massimo della carriera, così, percepirebbe annualmente circa 90mila euro lordi, iniziando il suo cursus da uno stipendio da circa 1.600 euro. L’obiettivo della maggioranza, adesso, è di chiudere le trattative e varare il nuovo schema, in consiglio di presidenza, mercoledì prossimo.
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