Sono otto in tutto i testimoni di giustizia, tutti siciliani, incontrati alla prefettura di Palermo da Luigi Gaetti, sottosegretario di Stato all’Interno. Ma tra questi (il nono e il decimo non si sono presentati per contrattempi e ragioni mediche) non c’è ad esempio Angelo Niceta, l’imprenditore palermitano che ha denunciato le presunte collusioni della sua famiglia con alcuni noti esponenti mafiosi, dai Guttadauro ai Graviano. Attualmente sotto processo per bancarotta fraudolenta, ha rotto il silenzio molto tempo fa, parlando con i magistrati e testimoniando anche in alcuni processi di primaria importanza, uno su tutti quello sulla trattativa Stato-mafia. Oltre a essere stato protagonista delle cronache, un anno fa, anche per il sofferto e prolungato digiuno totale a oltranza, condotto per oltre un mese, affrontato per denunciare quell’isolamento sociale in cui lo aveva relegato proprio quello Stato che, a denunce avvenute, avrebbe dovuto tutelarlo. Quello Stato che, oltre tutto, dopo aver raccolto le sue preziose informazioni, lo ha poi misteriosamente etichettato come collaboratore di giustizia, anziché testimone, malgrado Niceta non abbia commesso reati e non abbia fatto parte di alcuna organizzazione mafiosa. Un errore, questo, che si riparerà dopo mesi, fatti di manifestazioni e scioperi da parte dello stesso Niceta. Eppure lui non c’è, è il grande assente di questo confronto diretto, a tu per tu, per conoscere direttamente da chi detiene questo status le criticità da affrontare e correggere e le esigenze da provare a soddisfare. «Vedrò di farmi autorizzare un incontro a Roma con lui prossimamente», spiega infatti Niceta.
«È stata una giornata di studio», la definisce intanto il sottosegretario. Una giornata fatta di approfondimenti e spunti fondamentali, giunti proprio dai testimoni stessi. «L’intenzione è quella di mettere ordine in questo ambito raccogliendo informazioni direttamente da loro, ascoltandone le aspirazioni e le difficoltà – spiega -. Un momento per me molto emozionante, sentire il loro racconto, toccare con mano i loro sentimenti», rivela. «Abbiamo ragionato sulla legge 22 del 2014 della Regione Sicilia, regione che con molta lungimiranza ha fatto moltissimo per dare un lavoro ai testimoni di giustizia», torna a dire Gaetti. Sono 28 al momento quelli che lavorano qui per la Regione Sicilia, svolgendo mansioni diverse, altri invece sono sparsi nel territorio nazionale. Mentre attualmente sono 46 in tutti i testimoni che godono di questa opportunità. «Il mio staff sta lavorando su molte altre attività e idee – prosegue -, come quella di utilizzare i beni confiscati alla mafia, che saranno oggetto del Decreto sicurezza», la cui uscita è prevista per oggi. Un atto che «darà ai vari enti la possibilità di usare vari immobili e di poterne assegnare alcuni ai testimoni». È un ragionamento ampio e su vasta scala, quello prospettato dal sottosegretario Gaetti, e che abbraccia davvero, come sottolinea più volte, aspetti diversi. Mentre continuano, da luglio, anche le consuete audizioni in Commissione antimafia con i testimoni.
Ma sembra chiaro che il punto che gli sta più a cuore è proprio quello professionale, che garantirebbe a queste persone, in alcuni casi costrette a trasferimenti e cambi di generalità, di essere reinserite a pieno nel tessuto sociale, riappropriandosi di un’esistenza normale, messa temporaneamente in stand by con la scelta di testimoniare contro la criminalità organizzata. «Tutte le regioni si devono fare parte attiva di proposte di posti di lavoro. Se tutte quante fanno lo sforzo già fatto dalla sola Regione Siciliana su questo tema, nell’arco di qualche mese potremmo soddisfare le necessità di questi testimoni, verso cui siamo riconoscenti per quanto hanno fatto». Sembra esserci, per una volta, una sorta di positivo modello Sicilia che potrebbe ispirare l’operato altrui. Primati cui non siamo decisamente abituati. «Avete conosciuto e analizzato meglio di altri il problema della mafia, e quindi avete saputo sviluppare soluzioni più adeguate», spiega ancora.
Ma quali sono effettivamente le criticità emerse dal confronto con questi otto testimoni? «Alcuni hanno questioni con l’Agenzia delle entrate, non sono riusciti a pagare l’Inps o l’Inail e le insolvenze si stanno accumulando nel tempo. Altre sono legate al cambio delle generalità, su cui abbiamo già avviato un tavolo di lavoro per ottimizzare le varie norme anche in vista dell’accesso al mondo del lavoro. Stiamo ragionando davvero su tante norme e su diversi ambiti, ci sarà un tutor anche, cioè una persona di riferimento che si occuperà della parte burocratica per conto del testimone, che a sua volta potrà seguire dei corsi di formazione per un migliore inserimento nell’ambito della pubblica amministrazione». Un ragionamento a tutto tondo, e che prenderà le mosse proprio dalle informazioni raccolta dal confronto diretto avvenuto a Palermo.
«Ci hanno fornito spunti molto interessanti, su molti fronti», ribadisce Gaetti. Atteso anche il Decreto sulla corruzione, cui ii vertici dello Stato stanno lavorando. «La lotta alla mafia per il governo è un argomento chiave e si sta specializzando attraverso molti rivoli. La lotta non è solo un modo di dire ma è fatta con armi precise. Ormai è chiaro che la mafia non può essere vinta solo sul piano giudiziario e legislativo, ma serve anche la cosiddetta antimafia sociale, è fondamentale». Ma, a sentirlo parlare, il lavoro da fare in questo senso sembra ancora lungo. «La mafia si sta evolvendo in altri modi, commette meno omicidi ma corrompe molto di più. Non trovo nei colletti bianchi del nord la stessa sensibilità che vedo nelle nostre forze dell’ordine – rivela -. Le loro denunce, almeno nella mia realtà mantovana, non sono molte, non vedo quel cambio di passo dei professionisti che invece dovrebbe esserci. La società dei colletti bianchi nella mia realtà e nelle province limitrofe si è mossa poca, insomma».
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