Assolta Kadiga Shabbi, perché «il fatto non sussiste». Così ha deciso oggi la Corte d’Assise d’appello di Palermo, che ha ribaltato la sentenza di primo grado che la condannava, in abbreviato, a un anno e otto mesi per istigazione al terrorismo. «Finalmente la pacatezza, la serenità e l’applicazione del diritto hanno trionfato sulla suggestione, i castelli di carta e le presunzioni senza prove – il commento dell’avvocato Michele Andreano -. A tempo debito chiederemo il risarcimento dei danni al Viminale per l’ingiusta permanenza nel Cie di Ponte Galeria inflitta alla nostra assistita e allo Stato per l’ingiusta carcerazione subita. Khadiga è a Palermo ed è libera. Vediamo se l’ambasciata libica le dà una mano».
Fermata a dicembre del 2015, era stata scarcerata dopo otto mesi di detenzione. A maggio di quest’anno la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma gli aveva prima concesso e poi, a distanza di un giorno, negato un permesso di soggiorno umanitario. Un provvedimento, quello accordato alla donna, erroneamente concesso. Per la vicenda che la vede coinvolta si applica, secondo la Commissione, solo il principio del no refoulement, cioè il non respingimento nel paese di origine in cui è in atto una guerra civile.
In caso di rimpatrio, infatti, la donna rischierebbe addirittura la vita. Il materiale informatico sequestrato alla ricercatrice, all’epoca della detenzione e poi della condanna, le verrà adesso restituito. Per l’accusa aveva dei contatti segreti con cellule terroristiche islamiche e foreign fighters, tutto al fine di svolgere un’azione di propaganda nei confronti di Al Qaeda, sfruttando soprattutto i social network.
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