Fare pagare il pizzo emettendo regolare fattura. Sarebbe stata questa la trovata del gruppo attivo a Terme Vigliatore guidato da Tindaro Scordino, tra i 40 arrestati dell’operazione Gotha VII, con cui è stato inferto un altro duro colpo alla famiglia mafiosa dei barcellonesi. Il nome di Scordino ricorre più volte nelle pagine dell’ordinanza siglata dalla gip Monica Marino e si intreccia con quelli di Salvatore Piccolo, Sergio Spada e Francesco Salamone. Quest’ultimo, conosciuto dai più come Carmelo, era stato eletto nel 2013 in consiglio comunale con 306 voti. Ruolo da cui poi è stato sospeso nel 2016, dopo essere stato coinvolto in un’operazione su un traffico di droga. Per lui e gli altri componenti del gruppo le accuse oggi sono di associazione mafiosa e tentata estorsione.
Nella città dei vivai, l’obiettivo dei quattro sarebbero stati proprio gli imprenditori attivi nel settore della coltivazione e rivendita di piante e fiori. L’ipotesi, sostenuta dai magistrati, si fonda tanto sulla testimonianza di una potenziale vittima – potenziale perché il piano estorsivo sarebbe saltato anche a causa dell’arresto di Scordino – quanto sulle parole di colui che avrebbe dovuto fornire le condizioni per mascherare il racket. Il pizzo, infatti, sarebbe stato imposto tramite un’impresa di vigilanza privata, i cui servizi sarebbero stati proposti come soluzione alla lunga serie di furti che stava colpendo le attività floro-vivaistiche della zona. È il 2015 quando il titolare di un’agenzia viene avvicinato da Salamone, che già conosceva, da Piccolo e Scordino. I tre gli spiegano come sarebbero andate le cose: «Loro – scrive la gip – avrebbero convinto i vivaisti a commissionare il servizio di vigilanza all’impresa, ma l’attività, di fatto, sarebbe stata svolta senza l’impiego di risorse e mezzi adeguati». E questo poiché si sarebbe trattato soltanto di dare contorni legali a quelle che in realtà sarebbero state vere e proprie estorsioni. «Nell’immediatezza chiedevo in che termini detta attività dovesse svolgersi, facendo riferimento a uomini e mezzi da impiegare e numero di passaggi da effettuare presso i vivai interessati – dichiara il titolare dell’agenzia -. Mi disse subito che non era necessario adottare chissà quale dispositivo di vigilanza e che era sufficiente fare un solo passaggio con la macchina giusto per far vedere al cliente che il servizio veniva svolto».
La guardiania, chiaramente, avrebbe avuto un costo. «Mi disse – prosegue il titolare facendo riferimento a Scordino – che avrebbe detto ai vivaisti che il servizio avrebbe avuto un costo pari a 150 euro che gli stessi avrebbero pagato con cadenza mensile e che una parte avrei dovuto liquidare direttamente a loro». I tre avrebbero anche evitato giri di parole per spiegare il motivo della richiesta: «Mi disse che era un metodo per evitare problemi, facendo riferimento a vicende giudiziarie occorse in passato ad alcuni soggetti che definiva babbi. Ricordo – mette a verbale l’uomo – che mi proferì la seguente frase: “Ama fari cussii, na cosa pulita, pi non fari a fini di ddi babbi chi si ficiru attaccari picchì annavunu a dumannari 5mila euro a destra e a sinistra”».
A descrivere il piano degli uomini di Scordino è stato poi anche uno dei vivaisti, che ai carabinieri ha ammesso di essere stato avvicinato da Piccolo, il quale gli avrebbe chiesto se fosse disposto ad affittare un immobile della madre dove stabilire la sede dell’agenzia. Anche in questo caso il dialogo avrebbe spiccato per chiarezza: «Siccome in questa zona non si paga più il pizzo – sarebbe stata la premessa di Piccolo – noi vogliamo fare in modo, attraverso questo sistema della vigilanza, di farvi pagare una somma tipo di cento euro al mese, regolarmente fatturata». Stando alle intercettazioni degli investigatori, il gruppo avrebbe creduto seriamente al progetto. «Piccolo, conversando con Scordino in macchina, alla presenza dello Spada, affermava di essersi già adoperato perché fosse recepito il messaggio della ineluttabilità della imposizione che – sottolinea la giudice – avrebbe dovuto colpire la totalità dei vivaisti operanti nella loro zona». Totalità che tradotta in cifre avrebbe significato almeno 50 contratti di vigilanza, e chi si fosse opposto sarebbe stato costretto a lasciare il territorio.
Scorrendo le carte dell’inchiesta, a un certo punto compare anche un nome illustre. Salamone avrebbe fatto riferimento al farmacista di Rodì (Rodì Milici), espressione con cui viene conosciuto in paese Bartolo Cipriani, il sindaco di Terme Vigliatore. L’allora consigliere – stando al racconto del titolare dell’agenzia di vigilanza – avrebbe fatto riferimento alla possibilità di sfruttare il rapporto con il primo cittadino, che non è indagato, per raggiungere alcuni «grossi imprenditori che forse avrebbero avuto problemi ad avvicinare». Scenario che oggi il diretto interessato esclude con fermezza: «Mi sta informando lei della presenza del mio nome nell’ordinanza – replica Cipriani a MeridioNews -. Non ho mai avuto contatti con le persone arrestate e mai mi sarei prestato a certe cose, non scherziamo. Salamone? È stato candidato in un momento in cui non aveva problemi con la giustizia. Quando fu arrestato, sono stato il primo a chiedere le sue dimissioni, altrimenti sarei stato io a fare un passo indietro. Ma poi – conclude il sindaco – fu la prefettura a intervenire, sospendendolo».
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