Tecnis, dalla denuncia agli appetiti della mafia Addiopizzo: «Non servono imprenditori simbolici»

«Denunciando non si diventa eroi, si fa solo il proprio dovere». A pochi giorni dal sequestro delle società legate al colosso dell’edilizia Tecnis, a tornare sulle infiltrazioni di Cosa nostra nell’economia è Addiopizzo. La notizia dell’«asservimento alla criminalità» organizzata dell’azienda di Mimmo Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice, che secondo gli inquirenti concedevano alla famiglie mafiose la gestione dei subappalti, ha riportato al centro dell’attenzione il concetto dell’antimafia. In molti casi divenuto etichetta da utilizzare strumentalmente. Proprio Costanzo, infatti, nel 2012 denunciò un tentativo di estorsione da parte di alcune cosche calabresi interessate ai lavori per il rifacimento della statale 106. «Il problema sta a monte – dichiara Chiara Barone, presidente di Addiopizzo Catania – nel pensare che basta denunciare per diventare un esempio dell’antimafia. Costanzo con quell’atto fece solo il proprio dovere, lo stesso che centinaia di altri imprenditori fanno senza per questo considerarsi eroi».  

Per Barone, le responsabilità della deriva del concetto di antimafia sono collettive: «Non bisogna ragionare sull’antimafia di facciata soltanto quando si scopre che un imprenditore è vicino a certi ambienti – continua -. Ci si lamenta di chi fa dell’antimafia un’etichetta ma poi li si invita a conferenze ed eventi. Bisogna dirlo tutti i giorni che, per condurre certe battaglie, non ci serve l’imprenditore antimafia». E a chi potrebbe replicare, ricordando che è proprio Addiopizzo ad aver ideato la lista pizzo free, che raccoglie imprenditori che a vario titolo si sono opposti al racket, la presidente del gruppo catanese risponde sottolineando che chi cerca visibilità non è interessato all’associazione: «E questo non perché non abbiamo anche grossi imprenditori – commenta Barone -. Basta scorrere la lista per accorgersi che ci sono aziende importanti, la questione è il ruolo che si va a rivestire entrando a far parte di Addiopizzo». 

In tal senso è il concetto di rete che costituirebbe una barriera all’entrata: «Da noi nessuno acquisisce il ruolo di simbolo dell’antimafia – aggiunge la responsabile -. Un grande imprenditore interessato a cercare soltanto una strada per crescere economicamente non può guardare alla nostra associazione come a un trampolino. Qui ogni iscritto è uguale a un altro». Il tornaconto, tuttavia, potrebbe essere quello di legare la propria immagine all’antimafia: «Il rischio di ricevere richieste da chi è intenzionato a ricostruirsi una verginità in termini di legalità c’è sempre – ammette Barone – tuttavia va detto che da parte nostra cerchiamo di essere quanto più attenti possibili, valutando ogni ingresso con attenzione. Di certo non basta mandare una mail per entrare nella lista».  

Che puntare all’infallibilità sarebbe stato un obiettivo impossibile da raggiunge è stato dimostrato dall’operazione Revenge 5, che a novembre ha portato alla luce lo sfruttamento di ambulanze pizzo free per trasportare la droga: «Non abbiamo mai pensato di essere perfetti né di avere la palla di vetro. La vicenda della onlus New Città di Catania è stata spiacevole, e noi – conclude Barone – abbiamo reagito prontamente espellendola dalla lista. Ma se è l’unico caso in otto anni di attività, forse significa che Addiopizzo a Catania ha lavorato bene».

Simone Olivelli

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