Siamo al quinto giorno d’occupazione del Teatro Coppola. Il turno di lavoro delle nove di sera è cominciato da quarantanove minuti. Calce bianca a disinfettare i muri. La sparapunti scatta su una quinta in costruzione. Dovrebbero arrivare le pizze fra un po’. Dovrei farmi un’idea di quello che sta succedendo ma non mi interessa più di tanto. Sta succedendo. Da ieri c’è un architetto scenografo che ha preso in mano i lavori, una donna. Le donne stanno facendo tantissimo, continuano ad arrivare e a impastare cemento, passare calce, rifanno i muri, sistiano e danno forza, oltre a raccontare in rete questa storia. Il Teatro Coppola lo stanno ricostruendo le donne. Sono dappertutto. Hanno in mano la situazione. Amazzoni del cemento le abbiamo chiamate. Qualcuno in città si chiede se siamo comunisti, fascisti, pescatori di frodo o guardie svizzere. Noi ci chiediamo dove trovare mattoni, grassello, legname. Proteggiamo un diritto lavorando. E’ lo sciopero al contrario di Danilo Dolci. Mettiamo in piedi quello che ci serve, senza aspettare che qualcuno lo faccia per noi. Ci organizziamo sui nostri bisogni. Liberi e uguali. Se per vincere servono processi e forche noi preferiamo perdere.
A Carrara dicono che anarchico è chi si fa il vino. Noi ci facciamo un teatro.
Cesare Basile
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