Tangenti e rimborsi all’ombra del Provveditorato «Vuole fare il paladino, ma magari gli sparassero»

«Fissa…il paladino della giustizia…ma magari gli sparassero». Non si faceva troppi scrupoli, pare, Claudio Monte, nel manifestare il suo «disprezzo per gli imprenditori onesti, quelli non disponibili a venire a patti corruttivi». Lui è tra le quattordici persone coinvolte nell’operazione scattata questa mattina, coordinata dalla procura di Palermo e condotta dal reparto anticorruzione della mobile. A finire sotto la lente delle indagini il Provveditorato alle opere pubbliche della Sicilia e della Calabria, all’ombra del quale alcuni pubblici ufficiali, ingegneri e funzionari avrebbero messo in piedi un sistema illegale ben collaudato e che adesso dovranno rispondere a vario titolo di corruzione, falso ideologico in atti pubblici e truffa aggravata. «Un rapporto corruttivo di do ut des attraverso il quale i funzionari piegavano l’interesse pubblico dell’opera ai fini del loro arricchimento», spiega oggi il capo della mobile Rodolfo Ruperti. Gli illeciti avrebbero riguardato diversi appalti, in particolare inerenti a ristrutturazioni di strutture pubbliche, dalle scuole primarie e secondarie, ad alloggi e caserme di servizio delle forze dell’ordine.

«Le stazioni appaltanti non erano complici di questo meccanismo, che avveniva tra l’imprenditore che appaltava il lavoro e il pubblico funzionario che era preposto al suo controllo», precisa ancora Ruperti. Le indagini sono partite in seguito alla denuncia di un coraggioso imprenditore che non si sarebbe piegato e dalla quale poi sarebbero partite le indagini di rito. Pedinamenti, appostamenti e intercettazioni hanno fatto emergere un sistema che, per gli investigatori, andava avanti da tempo. «Gli appalti tenuti sotto osservazione sono stati numerosi, quelli in cui oggi vengono contestati i reati sono otto». 

Gli importi a disposizione per la realizzazione degli interventi edilizi su immobili pubblici erano individuati dal prezzo posto alla base delle procedure di evidenza pubblica di aggiudicazione, per cui il ribasso praticato poi dal vincitore della gara poteva essere aumentato fino alla concorrenza del valore dello stanziamento originario (quello della base d’asta) per il tramite delle perizie di variante. «Le perizie di variante rappresentavano quindi, nella sistematica applicazione del metodo corruttivo, un momento importante per adescare gli imprenditori alla successiva corresponsione di utilità economiche ai funzionari corrotti – si legge nelle carte dell’operazione -. Peraltro, anche se la circostanza non è emersa esplicitamente dalle indagini come oggetto di patti corruttivi, almeno con le ditte amiche, già coinvolte in passato nel sistema corruttivo, la possibilità di accedere ad aumenti dell’importo dei lavori per il tramite di varianti e della manipolazione della contabilità di cantiere, costituisce occasione oggettiva per la praticabilità in sede di gara di ribassi enormi, confidando nel recupero della antieconomicità delle offerte potendo aumentare l’importo complessivo dei pagamenti fino alle somme costituenti la base di gara».

L’approccio da tenere con i diversi imprenditori, specie coi nuovi da testare e mettere alla prova, variava a seconda delle circostanze e dell’immediato atteggiamento di risposta della persona approcciata. «A fronte della disponibilità progressivamente dimostrata dai pubblici ufficiali, poi poteva seguire anche un irrigidimento, anch’esso progressivo a seconda della titubanza mostrata dagli appaltatori nell’accedere alle profferte corruttive», si legge ancora nelle carte. Adesione dimostrata anche attraverso atteggiamenti di tacita benevolenza. «Con gli imprenditori che per la prima volta avevano a che fare con l’appaltatore pur avendo corrisposto segnali di intesa, poi non si proponeva per offrire le utilità sperate, potevano seguire irrigidimenti e ritardi nella firma dei SAL (stato di avanzamento lavori ndr), nella redazione della contabilità di cantiere, e nella dichiarazione di chiusura dei lavori, con lo scopo di “sollecitare” quanto avevano lasciato intendere di promettere. Se addirittura l’imprenditore non avesse mostrato segnali di avvicinamento alle aspettative dei pubblici ufficiali, nonostante le blandizie adoperate, poteva seguire un atteggiamento di totale chiusura».

Due gli aspetti su cui si basava il sistema corruttivo/concussivo portato alla luce dall’inchiesta di oggi. La prima puntava sulle dazioni di tangenti, corrispondenti ad una percentuale pari a circa il 2-3 per cento dell’importo complessivo del finanziamento statale. «Il modus illecito adottato consentiva all’imprenditore di recuperare l’importo della tangente, attraverso l’inserimento di voci di spese fittizie o maggiorate nei documenti contabili, predisposti dai pubblici funzionari». Il Comune di riferimento dei lavori, poi, provvedeva al pagamento all’impresa della fattura solo a seguito della documentazione contabile. «Sal e perizie di variante diventavano, così, la merce di scambio utilizzata dai pubblici ufficiali come controprestazione alla mazzetta». Il secondo aspetto, invece, era quello dei rimborsi spese di missioni non effettuate e/o parzialmente falsificate. Al termine delle proprie funzioni, gli ufficiali erano tenuti a predisporre una nota delle indennità e delle spese nella quale attestavano lo svolgimento di un determinato numero di missioni, utilizzando per il viaggio il proprio mezzo di trasporto, che dava diritto a un rimborso per il costo del carburante utilizzato in base al numero dei chilometri percorsi. Per ogni missione compiuta inoltre avevano diritto anche a un buono pasto di 23 euro che veniva rimborsato, dietro presentazione di una fattura da parte del ristorante. «Da un lato si constatava come spesso i pubblici ufficiali per raggiungere i cantieri fossero ospiti nelle auto degli imprenditori o condividevano il mezzo tra colleghi, attestando, invece, di aver utilizzato il proprio e percependo un rimborso non dovuto; dall’altro era frequente che fossero gli imprenditori a pagare i pasti, sebbene l’ufficiale presentasse una fattura a suo nome, intascando anche in tal caso un somma non spettante, in danno alle casse pubbliche».

Tangenti e rimborsi, quindi, secondo le indagini, erano due facce di una stessa medaglia: l’impresa offriva, oltre al denaro, altre utilità, come passaggi e pasti, che rientravano nel sistema illegale che sarebbe stato messo in piedi. Per molti degli interventi edilizi finiti sotto l’attenzione degli investigatori, scuole in testa, la tecnica più utilizzata sarebbe stata quella della procedura negoziata senza bando di gara: la dicitura utilizzata era sempre la stessa, «cottimo fiduciario» dei lavori di prevenzione e riduzione del rischio connesso alla vulnerabilità degli elementi anche non strutturali, degli edifici scolastici. E poi gli affidamenti diretti e le perizie di variante, secondo quanto emerge dalle carte, erano vera e propria merce di scambio al fine di ottenere le tangenti, dove si potevano trovare voci di spesa fittizie o aumentate, concordate a tavolino con la ditta che così realizzava un extra, poi spartito in quota-parte tra l’imprenditore e il funzionario stesso. Un modus operandi «preciso e sottile: dapprima, i pubblici ufficiali si adoperavano per far arrivare il denaro pubblico finanziato al Comune nel più breve tempo possibile. Infatti, la prima rata di acconto pari al 45 per cento dell’importo totale veniva accreditata entro 60 giorni dall’atto della stipula o della registrazione della convenzione, mentre la seconda richiedeva l’attestazione redatta da un tecnico del raggiungimento di un’alta percentuale di lavori eseguiti, pari all’80 per cento, che si concretizzava nella dichiarazione dello stato di avanzamento lavori». Una contrattazione vera e propria. Questo sistema, individuato dall’inchiesta, avrebbe garantito alla ditta che la dazione della tangente fosse a carico esclusivo dell’amministrazione pubblica. Mentre, riportano ancora le carte, «gli atti contabili venivano snaturati dalla loro funzionale naturale: da strumenti di controllo della contabilità pubblica divenivano, invece, la merce di scambio per l’ottenimento delle tangenti».

Silvia Buffa

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