Resta a Catania il processo che vede imputato Emilio Coveri, il presidente dell’associazione Exit-Italia per l’istigazione al suicidio di Alessandra Giordano. La 47enne di Paternò, insegnante di scuola primaria in un istituto di Misterbianco, è morta lo scorso 27 marzo a Forch, un paesino svizzero nel cantone di Zurigo, nella struttura Dignitas. A presentare l’esposto alle forze dell’ordine da cui è partita l’inchiesta erano stati i familiari della donna.
Durante l’udienza preliminare che si è svolta a febbraio, gli avvocati della difesa Arianna Corcelli e Roberto Mordà avevano sollevato la questione dell’incompetenza territoriale chiedendo che il processo venisse trasferito al tribunale di Torino. La giudice per l’udienza preliminare Marina Rizza ha invece confermato la competenza del tribunale di Catania e ammesso per Coveri – che era presente martedì pomeriggio in aula – il giudizio con rito abbreviato. «Prendiamo atto della decisione della giudice – dice a MeridioNews l’avvocata Arianna Corcelli – e la accettiamo anche se eravamo convinti che la competenza territoriale non fosse etnea».
Un punto cruciale non definito dalla giurisprudenza per il reato di istigazione al suicidio. «Anche perché, è bene ricordarlo – sottolinea la legale – tra il mio assistito e la signora Giordano non c’è mai stato un incontro fisico». Il presidente di Exit-Italia e la maestra non si sono mai visti. «Il nostro dubbio, a questo proposito, era: la competenza territoriale – spiega Corcelli – dipende dal luogo in cui il reato che viene contestato sarebbe stato commesso o nel posto in cui la vittima avrebbe percepito l’istigazione o il rafforzamento?». Quando parlano al telefono o si scambiano delle mail, Coveri si trova a Torino e Giordano nel Catanese.
La prossima udienza del processo è stata fissata per il 5 novembre quando sono in programma le discussioni dei pubblici ministeri e delle parti civili. L’udienza successiva è poi stata calendarizzata per il 26 novembre con la discussione della difesa. Coveri è indagato perché «determinava o rafforzava il proposito di suicidio. Intratteneva rapporti e conversazioni telefoniche, via sms e posta elettronica a far data dall’anno 2017 e ininterrottamente sino al 2019». I suoi legali sono convinti non solo della sua innocenza ma anche «dell’insussistenza di ogni tipo di responsabilità penale. “Determinava” o “rafforzava” sono due cose ben diverse e il fatto che stiano nello stesso capo d’imputazione è molto significativo dell’aleatorietà dell’ipotesi di accusa», sostengono.
Già durante l’interrogatorio dello scorso luglio, Coveri aveva negato istigazione e sollecitazioni. In una intervista a MeridioNews ha poi precisato che «Alessandra non la sentivo più dall’agosto del 2018». I toni delle loro conversazioni e dei loro messaggi sarebbero stati neutri: «Non era un rapporto speciale». Le mail a cui si fa riferimento, invece, «sono quelle con i bollettini informativi che inviamo a tutti i soci». Una newsletter con le attività dell’associazione, le storie delle persone, le novità normative. «È la prima volta – sottolineano i difensori – che il presidente di una associazione finisce imputato solo per avere dato a un socio delle semplici informazioni che sono reperibili da chiunque anche su internet». La donna, che soffriva della sindrome di Eagle (una malattia rara, una nevralgia facciale atipica), era venuta a conoscenza dell’esistenza della Dignatas seguendo il caso di dj Fabo. «Già nella nostra prima conversazione nell’estate del 2017 – ricostruisce il presidente di Exit-Italia – Alessandra mi disse che stava malissimo e voleva morire dignitosamente».
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