Stupro Acireale, ecco perché i due sono stati condannati «Rapporto imposto per condividere il corpo della vittima»

«Una situazione in cui Ardizzone, convinto di dominarla psicologicamente e fisicamente, le ha imposto un rapporto sessuale non convenzionale in quanto trilatero con l’amico con cui intendeva condividere l’utilizzo del corpo della vittima». Possono essere riassunte con queste parole della gup del tribunale di Catania Marina Rizza le motivazioni che hanno portato alla condanna a quattro anni di reclusione per Salvatore Ardizzone e Salvatore Filetti, nel processo di primo grado in abbreviato, svoltosi per la violenza sessuale di gruppo ai danni di una ragazza di 22 anni nel parcheggio della discoteca Qubba a Misterbianco, la notte tra il 13 e il 14 luglio del 2018.

«Mi ha stuprato, sono al parcheggio. Ti aspetto quando finisci». È questo il messaggio che la vittima manda, alle 3.43 di quella notte, a una delle amiche rimasta ancora dentro il locale. «Pensi davvero che io me la sia cercata?», chiede l’indomani la ragazza all’amica che aveva provato a dissuaderla dal domandare un passaggio ad Ardizzone. Il timore sarebbe stato legati a un precedente: una festa in una casa a Pozzillo, nove mesi prima, durante la quale la ragazza racconta di essersi appartata e baciata con lui. Secondo la ragazza, tutto sarebbe finito lì per via delle battutine e delle risatine di alcuni amici di lui che l’avevano infastidita. Un episodio descritto però in modo diverso dagli altri protagonisti e da alcuni testimoni che parlano di un rapporto a tre. 

«Non credevo avesse rifatto lo schifo, con le stesse modalità se non peggio – scrive ancora la ragazza in un messaggio all’amica – Io quel bastardo lo conoscevo da anni, non era uno sconosciuto. Ero convinta di andare a casa e, invece, ero io al centro di due maiali». E, in effetti, la vittima e Ardizzone erano conoscenti di vecchia data e insieme avevano frequentato anche l’Azione cattolica. È a lui che un certo punto della serata, la ragazza chiede un passaggio per tornare a casa ad Acireale. Invece, si ritrova sul sedile posteriore dell’auto con i due, seduti uno a destra e uno a sinistra. Lì Filetti avrebbe iniziato a masturbarsi mentre Ardizzone avrebbe «afferrato con violenza la vittima per i fianchi, le avrebbe abbassato gli slip e l’avrebbe costretta a subire un rapporto sessuale completo». Non solo, secondo la ricostruzione fatta dalla giudice nelle motivazioni della sentenza di condanna, avrebbe anche provato a fare in modo che la vittima praticasse sesso orale all’amico. 

Assistita dall’avvocata Milena Occhipinti, la vittima aveva denunciato tutto ai carabinieri di Acireale una decina di giorni dopo i fatti per il timore di dare un dispiacere alla madre. Fatti ribaditi anche durante un lungo interrogatorio, cristallizzato nell’incidente probatorio. Gli imputati, invece, hanno sempre sostenuto che il rapporto sarebbe stato consensuale. Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, Ardizzone ha raccontato che durante la prima festa sarebbe stata la ragazza a prendere per mano lui e il suo amico per «dare una svolta alla serata». In discoteca, invece, lui avrebbe perfino rifiutato di dare il passaggio richiesto e che sarebbe stata lei a insistere per andare comunque in auto. Lì tutto sarebbe iniziato «per ripetere il giochetto» finché lei non sarebbe «andata in tilt accusandomi di dettare i tempi della cosa». Una ricostruzione che la gup ha definito «incoerente, illogica e contraddittoria, del tutto sprovvista di fondatezza e credibilità, frutto di una comune e condivisa prospettazione difensiva, avendo peraltro i tre (nel conto c’è anche un terzo ragazzo che è stato inizialmente indagato) candidamente ammesso di essersi accordati per fornire una mendace descrizione dell’accaduto alla fidanzata di Ardizzone per ridimensione il suo ruolo nella vicenda». 

All’indomani dei fatti, era stata la stessa vittima a procurarsi il numero della fidanzata di Ardizzone per raccontarle di essere stata violentata. Ed è a lei che il ragazzo, dopo avere concordato con gli amici una versione di comodo da fornirle, dice che «forse l’unica violenza, oltre a quella verbale, sarebbe stata quella di indirizzare la mano della ragazza verso il pene dell’amico Filetti». Quest’ultimo, durante il suo interrogatorio, ha poi confermato la vicinanza della testa della vittima ai suoi organi genitali. «Questo credo che per la dinamica, per come eravamo seduti, può essere».

Marta Silvestre

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