Una strage ignorata, è questo il titolo del libro scritto a sei mani da Pierluigi Basile, Diego Gavini e Dino Paternostro su una delle pagina più buie dello Stato italiano. Centoventidue pagine che attraversano fatti di sangue irrisolti, insabbiati, caduti ormai nell’oblio della memoria di quei pochissimi sopravvissuti che sono ancora in vita. Per non perdere il ricordo del sacrificio di questi uomini, «bisogna fare presto» dice, ricordando le parole di Paolo Borsellino, Placido Rizzotto, omonimo e nipote del sindacalista che lottava nel Corleonese per il diritto alla terra dei contadini. Il suo corpo, ritrovato solo nel 2012, venne fatto sparire da Cosa nostra nelle campagne di Rocca Busambra. Quello delle stragi dei braccianti che si erano ribellati alla supremazia mafiosa e latifondista è stato il tema centrale dell’incontro avvenuto nella palestra dell’Istituto superiore Majorana di Palermo in occasione della presentazione di un docufilm realizzato da Fabrizio De Pascale e Roberto Carotenuto per la Fondazione Argentina Altobelli.
Quella di Portella della Ginestra, avvenuta il 1 maggio 1947, è la strage più celebre, quella di cui ancora si parla in occasione di ogni Festa del Lavoro. Tanti altri però sono i casi di contadini morti ammazzati non ancora risolti. Nel documentario si ricordano numerose uccisioni come quella di Epifanio Li Puma, ucciso sulle Madonie. «”Fatti la croce”, gli dissero – racconta il figlio nel documentario -, così gli hanno sparato. I carabinieri non arrivarono e poi non ci fecero vedere le salme, non ci permisero di avvicinarci». E poi Nicolò Azoti, ucciso a Baucina in provincia di Palermo, che combatteva al fianco degli agricoltori per l’assegnazione delle terre incolte dei feudi. I proprietari terrieri, minacciati, ordinarono con la complicità dei propri uomini d’onore una strage, come racconta la figlia, e assieme al padre morirono tanti altri uomini: «Sono morti senza aver avuto giustizia – racconta Antonina – Non sono degli eroi ma dei martiri morti in difesa dei diritti dei più poveri».
Queste e tantissime altre sono le vittime che hanno lottato per la patria, la stessa che non è mai riuscita a dare un nome a molti degli esecutori materiali delle uccisioni. Tanti sono ancora i perché, che resteranno senza una risposta, delle tantissime morti e della distruzione di altrettante famiglie. «La morte di nostro padre – racconta il figlio di una delle vittime -, ci ha lasciato nudi, non avevamo più niente». La giustizia fu negata nella maggior parte dei casi, senza regolari processi e senza condanne. La storia, invece, è ciò che è riuscita a fare giustizia a questi martiri grazie all’attività dei sindacalisti che sono riusciti a consegnare all’Italia una società più vivibile.
Sia Antonina Azoti sia Rizzotto hanno sottolineato come mafia, agrari, politici, forze di polizia e chiesa avevano negli anni ’40 il solo obiettivo di arrestare le forze di sinistra e di bloccare l’avanzata della democrazia. «Le armi spararono – ha detto la nipote di Nicolò Azoti -, seminando vittime il cui sangue sporcò le piazze, le campagne, le camere del lavoro». «Tutte le stragi – secondo Rizzotto – hanno un punto in comune: i depistaggi». La verità di quegli assassinii non doveva venire mai a galla. «Queste stragi – continua il nipote del sindacalista – hanno falsato la democrazia, hanno fatto crescere una repubblica malata. A Corleone prima di Verro e Rizzotto si contarono 52 omicidi, gente che ha cercato di ribellarsi alla mafia, tutte uccisioni coperte dallo Stato. Noi non ci arrendiamo, non dimentichiamo, c’è gente che ha speso una vita per la ricerca della verità».
Alla presentazione del documentario ha partecipato anche il segretario generale Uil, Carmelo Barbagallo, i segretari di Uil e Uila Sicilia Claudio Barone e Nino Marino, il segretario generale Uila, Stefano Mantegazza, la direttrice generale dell’Ufficio scolastico regionale Maria Luisa Altomonte e la dirigente scolastica dell’Istituto Majorana Melchiorra Greco, Francesco Bertolino, presidente della commissione consiliare Istruzione e Politiche Giovanili in rappresentanza del comune di Palermo e il docente di Storia contemporanea Michelangelo Ingrassia.
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