Passati 636 giorni dalla strage del Mediterraneo in cui morirono oltre 700 migranti, ci sono due presunti colpevoli condannati in primo grado. Sono Mohammed Alì Malek e Mahmud Bikhit. Un tunisino e un siriano accusati dalla procura di Catania di essere stati il comandante e il suo aiutante nella traversata, partita da Libia, e conclusasi in tragedia a 94 miglia dalle coste africane. A leggere il dispositivo è stata la giudice monocratica Daniela Monaco Crea. Un giudizio molto atteso che però era slittato una prima volta lo scorso 6 dicembre. Alì Malek è stato condannato a 18 anni, mentre Bikhit a cinque anni. Giudicati col rito abbreviato sono stati ritenuti colpevoli di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; al presunto capitano sono contestati anche l’omicidio colposo plurimo e il naufragio. Sono state stabilite inoltre sanzioni pecuniarie per nove milioni di euro ciascuno.
Alì Malek è ritenuto il responsabile della collisione con la nave cargo King Jacob. L’imbarcazione, battente bandiera portoghese, era stata dirottata a largo della Libia per soccorrere un peschereccio che si trovava in grosse difficoltà. Seconda l’accusa non ci sarebbero state responsabilità da parte del comandante e dell’equipaggio della King Jacob, mentre per l’avvocato Massimo Ferrante ci sarebbe stata una «corresponsabilità colposa del mezzo di soccorso». L’unica certezza è quella che natante, sul quale viaggiavano i migranti, si rovesciò causando centinaia di morti.
I superstiti, compresi i due imputati, alla fine furono 28. Tra loro anche due minorenni che si sono costituti parte civile. A questo proposito, la Rete antirazzista catanese sottolinea che a dicembre dello scorso anno, 19 dei sopravvissuti sono stati trasferiti lontano da Catania. Cosa che avrebbe impedito loro di costituirsi, come i due minori, parte civile. Oltre che di essere sentiti nel corso del procedimento. Le salme recuperate quei giorni furono soltanto 24, tutte trasportate a Malta dove sono state sepolte. Per diversi mesi in fondo al mare è invece rimasto il relitto del peschereccio. Le operazioni di recupero, fortemente volute dal governo di Matteo Renzi ma prive di utilità sul fronte giudiziario, si sono concluse a giugno. Con l’arrivo ad Augusta del relitto e di centinaia di cadaveri conservati al suo interno.
L’imbarcazione si trovava a 370 metri di profondità ed è stata agganciata da un modulo speciale istallato nella nave italiana Ievoli Ivory. I corpi recuperati sono stati sottoposti ad accurate analisi per tentare l’identificazione attraverso l’incrocio di dati. Le concitate fasi in cui i migranti chiedevano aiuto alla sede centrale della guardia costiera di Roma, tramite l’utilizzo di un telefono satellitare, sono rimaste registrate in alcune telefonate, acquisite come prove nel processo, e pubblicate in esclusiva da MeridioNews.
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