Strage di Capaci, un appello al silenzio per ricordare «Contro vergognosa e criminale deriva dell’antimafia»

«Il silenzio è una scelta complicata. È quello che accompagna i morti, quello che consente a ciascuno di ricordare, quello che ci sostiene nei momenti difficili. Il silenzio è ciò che opponiamo a chi ci ha deluso. Quello che consente di ricominciare, dopo aver scoperto una finzione insopportabile. Il silenzio è dignità». Recita così un post scritto su Facebook, in una pagina nata apposta per invocare e concretizzare quel silenzio. E per realizzarlo in un giorno che non è come tutti gli altri. Ma uno di quelli in cui aderirvi, forse, costa anche molto di più. Un giorno come il 23 maggio, per esempio. Durante il quale Palermo tutta, e non solo, versa fiumi di parole su parole per ricordare, per commemorare, per omaggiare. «Qualcuno vorrà impedire un silenzio che lo imbarazza, lo interroga. Qualcuno penserà che il silenzio è un vuoto e non un modo per ricominciare, diversamente. Ma il silenzio è la sola cosa che in questo momento può seguire alla vergogna per ciò che siamo stati capaci di fare: insultare la memoria di chi è morto».

Un post che è quasi uno sfogo, un discorso fatto a se stessi e che diventa pubblico quasi per necessità, per appello agli altri. E che nasce dal fare i conti col passato ma ancora di più con quell’oggi che ci chiama direttamente in causa. Tutti, compreso Davide Camarrone, il giornalista palermitano che quel silenzio adesso lo reclama a gran voce. «In questi anni abbiamo assistito a un pervertimento della lotta alla mafia che è iniziata in Sicilia molto tempo fa, che ha subito degli arretramenti, è vero, ma che grazie a un movimento nato con Pio La Torre era stata rilanciata, alimentando anche una grande solidarietà nelle scuole degli anni ’80, seguiti poi da sangue e rovine». Quella Palermo degli anni ’80 è la sua, quella di una generazione che si appresta a vivere anni difficilissimi, ma fatti anche di lotte sincere e spontanee. Quelle che oggi sembrano un lontano ricordo. «Ho assistito a quel degrado dell’antimafia adesso sotto gli occhi di tutti e che fa molto male – racconta -. Un degrado che si è accompagnato anche allo svilimento di alcune parole d’ordine nate da quel ’92, da quelle stragi. Una vergognosa deriva affaristica e criminale che meritava una reazione».

Quale, si domanda il giornalista. «Quella di aggiungere parole a parole? O di celebrare a parole i processi che devono ancora celebrarsi nei tribunali? Io non credo. Serve, dopo quest’ultima operazione giudiziaria, molto meditata e attenta nata a Caltanissetta, un momento di pausa» dice, alludendo alla recente inchiesta che colpisce l’ex numero uno di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, uno di quelli fino a pochi mesi fa venerato nel tempio sacro dei cosiddetti paladini antimafia. Tra i fatti che, forse più di altri, ha innescato la reazione e l’appello di Camarrone. «Non è il silenzio dell’omertà, ma il silenzio addolorato, quello che si manifesta quando muore qualcuno, quel silenzio che consente un dialogo interiore, che consente il ricordo, che consente di fermarsi un attimo quando si è presi da tanti pensieri contrastanti – spiega lui stesso -. Un silenzio molto diverso da quello della mafia, che può essere fatto, a modo suo, di tante parole confuse, di chiacchiere, menzogne, bugie».

Questo è invece il silenzio di chi prova a fare luce e si ferma un attimo, un segno di rispetto. Lo stesso che si manifesta quando muore qualcuno e tutti si fermano attorno a questa morte, fosse anche solo per un simbolico minuto. È un modo, un tentativo disperato, di tornare indietro nel tempo, di ritrovare quello stesso spirito che animò i palermitani all’indomani della strage di Capaci, quando 26 anni fa scavalcarono a forza i muretti della Cattedrale per seguire i funerali degli agenti di scorta rimasti uccisi nell’attentato insieme a Falcone. Una reazione esplosa tutta insieme, che veniva da dentro e che con enorme dolore voleva dire «io ci sono, Palermo c’è». «Ritroviamo quello spirito originario, quel silenzio degli anni ’80 e che venne anche dopo».

Insieme a molti altri Camarrone è in quell’atrio della biblioteca comunale di Casa Professa quando Paolo Borsellino parla in pubblico per l’ultima volta, poche settimane prima di saltare in aria anche lui. Era il 25 giugno 1992. «Io e tutti gli altri abbiamo assistito in un silenzio che è irripetibile. Ecco, dovremmo arrivare di nuovo a quel silenzio, il silenzio di chi ascoltava e si commosse, di chi poi si alzò in piedi e fece un applauso che sembrò non finire mai, sinceramente partecipe. E profetico, perché sapevamo tutti cosa sarebbe successo. Quel silenzio lì è lo stato al quale è opportuno ritornare. Il silenzio di chi sa, di chi partecipa e condivide». Non tutti, però, hanno accolto e rilanciato l’appello del giornalista. «Qualcuno non ha capito il senso di questo silenzio che noi chiediamo. Un silenzio che si contrappone a chi ha detto troppe bugie e che dice “adesso basta”. Un silenzio che serve a tutti noi a recuperare una dimensione antica, di autenticità, sincerità e partecipazione vera. È la cosa più semplice del mondo, non occorre vestirsi in un certo modo, dentro e fuori, lo sappiamo dentro di noi cosa occorre fare. È un messaggio semplice, mi spiace se qualcuno non lo capisce. C’è stata un po’ di ironia, di sarcasmo, ma va bene così».

Sono, però, oltre cento quelli che al contrario si sono identificati nel suo appello pubblico e che hanno deciso di farlo proprio, da semplici cittadini a personaggi noti della comunità: avvocati, scrittori, giornalisti, autori, operatori sociali, pastori, insegnanti, attori, architetti. «Spero che tutto quello che si farà e dirà oggi corrisponda a un impegno sincero, spesso nella maggior parte dei casi è così, penso ai numerosi studenti che da tutta Italia si mobilitano e arrivano a Palermo – conclude -. Però c’è anche bisogno di questo, rispetto a tutto quello che sta accadendo e che svilisce il senso della partecipazione dei tanti che sfilano e che sono certamente persone straordinariamente perbene. Sappiamo però, e ce lo raccontano le inchieste, che c’è anche qualcuno che è meno perbene. Ora questo qualcuno stia in silenzio. E noi che siamo la stragrande maggioranza di persone perbene restiamo pure in silenzio, ma un silenzio diverso, cioè ricordiamoci, come si fa nei momenti di lutto come questo, che dobbiamo ritrovare il senso autentico e profondo di quell’opposizione alla mafia che qualcuno ha voluto tradire».

Silvia Buffa

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