Strage di Capaci, il ricordo di Falcone in aula bunker Mattarella: «Lui non è fuggito per amore della Sicilia»

«AAA cercasi storie da ammirare», inizia con un benvenuto particolare la cerimonia istituzionale per celebrare il 25esimo anniversario della strage di Capaci. Ad accogliere cittadini e studenti giunti da tutta Italia ci sono i bimbi dell’Ics Amari-Roncalli-Ferrari di Palermo, che sulle note di una particolarissima Palermitani’s karma hanno messo in musica il significato di questa giornata. «Lezioni di coraggio, è questo il 23 maggio, per tutti la riflessione è un impegno. La scuola grida e canta, il sacrificio onora, diciamo tutti basta, Palermitani’s karma», è il ritornello con cui i ragazzi dicono no alla mafia.

Intanto l’aula bunker, luogo simbolo del maxi processo a Cosa nostra, si riempie velocemente. A prendere posto sono 70mila studenti. A prendere subito la parola è il giornalista Franco Di Mare: Siamo qui per celebrare il personale 11 settembre del nostro paese. La matrice è diversa, ma l intento è lo stesso, creare caos e destabilizzare. La prima a parlare sul palco è Maria Falcone, sorella di Giovanni. «”Palermo chiama Italia” – dice – 25 anni fa quello era un grido di dolore, erano i siciliani che chiamavano gli italiani. E gli italiani hanno risposto. Oggi quella stessa frase significa è un grido di orgoglio e speranza, perché questa terra ha dato eroi indimenticabili».

Segue la ministra dell’istruzione Valeria Fedeli, arrivata insieme agli studenti con la nave della legalità. «Più di 700 scuole hanno partecipato, si sono aggiunte molte scuole rispetto agli anni passati. Grazie ai docenti che hanno preparato, formato e stimolato i ragazzi a studiare e approfondire cosa successe 25 anni fa».

Gli interventi si arrestano per un collegamento in diretta con Capaci e il Giardino della memoria, dove questa mattina è stata portata la Quarto Savona 15, la croma marrone esplosa per prima il giorno dell’attentato. A bordo il caposcorta del giudice Falcone, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Tina Montinaro, moglie di antonio: «Quello che resta di quest’auto sono i sogni e le famiglie di quei tre ragazzi, e il rispetto che deve necessariamente seguire alla memoria. Come moglie e madre abbiamo pagato un altissimo prezzo per la lotta alla mafia. Ma oggi andando in giro per l italia e guardando le teste alte dei siciliani penso che quel sacrificio è valso a qualcosa. Ci sono stati tanti cambiamenti, ma ancora c’è molto da fare».

Rosaria, moglie di Vito Schifani, a 25 anni dal suo «Pentitevi», pronunciato durante l’accorato discorso in cattedrale ai funerali di Falcone e della sua scorta: «Non si guardano la mattina allo specchio, non penso che dopo 25 anni si siano pentiti (si interrompe, si commuove ndr). Borsellino mi aveva detto “Rosaria non andare via dalla Sicilia, questa terra diventerà bellissima”. E in effetti alcuni pentiti iniziarono a collaborare per aiutare la giustizia nella ricerca della verità». E poi ecco arrivare il ministro dell’Interno Marco Minniti e il capo della polizia Franco Gabrielli, è il momento di scoprire la teca e togliere il tricolore. L’emozione è grandissima ed è tutta negli occhi di queste due donne, abbracciare davanti a quella teca, orgogliose dei loro mariti. Lo svelamento dei resti della Quarto Savona 15 avviene sulle note del Silenzio.

Dopo un video che racconta le fasi più significative della carriera di Falcone, da Pizza connection al Maxiprocesso, fino alle ultime apparizioni e interviste, intervengono proprio gli uomini dello Stato e della giustizia. Giuseppe Di Lello, pm del pool antimafia di Falcone e Borsellino: «non c’è dubbio che la mafia ha ancora un suo potere, ma in 25 anni a Palermo e in tutta Italia sono cambiate molte cose. I grandi boss sono tutti all’ergastolo è ci sono centinaia di processi. Magistratura e forze di polizia sono in prima linea e ormai questa lotta non è più impari. Negli anni ’80 a Palermo – racconta il magistrato – si contavano centinaia di morti all’anno, oggi non è più così e per un paese civile significa tanto. Falcone era un catalizzatore nel nostro lavoro, uno abbastanza aperto, l’idea del pool nasce proprio per condividere insieme». Lo interrompe Leonardo Guarnotta, presidente in pensione del Tribunale di Palermo, che aggiunge: «il punto era aver capito che andava evitata la parcellizzazione». 

Infine, è il turno di Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia: «Terrorismo e fenomeno mafioso hanno in comune la transnazionalità e anche l’organizzazione. Forse è questo il motivo per cui dopo le stragi di Parigi è stata coinvolta nelle indagini anche la commissione nazionale antimafia. Fondamentale l’intuizione di Falcone, quella di seguire i soldi dappertutto. Questo richiede oggi cooperazione internazionale , sia per il contrasto alle mafie che al terrorismo». Insieme a loro anche un uomo dell’Fbi che conobbe e collaboró con Falcone: «Abbiamo lavorato a stretto contatto, un grande leader, oltre che un amico. Senza le sue intuizioni gli sforzi di Stati Uniti e Italia non sarebbero bastati. Ha avuto un carisma che ha trasmesso anche agli altri, era comoletente dedicato al suo lavoro. Siamo qui ancora oggi per ringraziarlo per la sua integrità e per quello che simboleggiava, per noi oggi un modello di vita».

Parla anche l’ex procuratore capo di Palermo, Giancarlo Caselli: «Molti contrasti avevano costretto Falcone a lasciare Palermo. Ma furono tanti i magistrati che chiesero di essere trasferiti qui per fare fronte comune. La mafia è una bestia feroce che teme di essere colpita molto duramente. Come accadde con le condanne confermate dalla Cassazione. Fino a quel momento la mafia era rimasta impunita. Reagisce quindi in maniera brutale con l’omicidio di Lima e con le stragi. Questo ha tracciato un momento di sconforto, ma tutti insieme con Antonino Caponnetto in testa abbiamo iniziato la nostra resistenza e ancora oggi siamo qua a parlarne». Poi il riferimento va anche ad alcuni fatti recenti: la desecretazione e pubblicazione degli atti che raccontano l’attività giudiziaria del magistrato, rimasti custoditi per tutto questo tempo. «Ho sempre votato per Falcone e mi duole ancora non essere riuscito a far valere le sue motivazioni all’interno del consiglio del Csm – continua Caselli – Non fu solo un problema di nomi, ma di metodo di lavoro e quello di Falcone non piaceva a tutti». Parla ancora il ministro degli Interni Marco Minniti: «Sarebbe una sconfitta enorme se prima che finisca questa legislazione non si arrivasse ad approvare una legge sui beni confiscati».

Si conclude con il discorso del presidente della repubblica Sergio Mattarella. «25 anni sono tanti dice – un’intera generazione di ragazzi è nata e cresciuta dopo quelle stragi. I nostri modi di vivere sono cambiati, mutamenti politico e sociali di vita quotidiana, promossi dai progressi tecnologici. Guardando indietro si ha la sensazione di trovarsi in un’altra epoca, anche questa flagellata dalle violenze come ci ricorda l’attentato di ieri. Eppure il ricordo di quei menti drammatici di 25 anni fa rimane vivido e provoca orrore e coinvolgimento non solo in cui li visse da vicino. Non possono essere dimenticati i giorni delle stragi e i nomi delle vittime. Con l’assassinio di Falcone e Borsellino, sembrava che insieme al dolore prevalesse lo scoramento. Che la mafia, piegata e sconfitta nel maxi processo, si fosse rialzata prendendosi la rivincita e con esso il suo perverso potere. Ma il popolo siciliano ha acquisito da quel giorno una consapevolezza destinata a consolidarsi nel tempo». 

Il capo dello Stato parla anche del ruolo delle istituzioni, per cui «è necessario non limitarsi al dolore e al ricordo, Falcone e Borsellino non hanno vissuto e lottato per questo, ma per sollecitare un i.pegno costante, ininterrotto. Falcone e Borsellino respingevano la concezione dell impenetrabilità della mafia. Sapevano che bisognava scardinare tutti i luoghi comuni usati troppe volte come alibi contro la lotta alla mafia. Quella delle prevenzione e della repressione è in assoluto il primo elemento di efficace contrasto contro la criminalità organizzata. Tante volte nei discorsi e negli scritti dei due magistrati traspare l’amore, la tristezza e la voglia di riscatto per la propria isola. Non sono fuggiti per amore della propria terra. Condivisero tanto: invidie, ostacoli, il rifiuto della rassegnazione. Non aspettavamo che arrivasse qualcuno dall’esterno». 

Poi si rivolge ai ragazzi delle scuole: «Oggi avete reso testimonianze importanti. Falcone come Borsellino e altri caduti in questa lotta erano persone normali, uomini oggi punto di riferimento. Ragazzi oggi è per il futuro. Le idee, le tensioni morali di Falcone, Borsellino e gli altri camminano anche nelle vostre gambe, vi auguro di esserne sempre consapevoli».

Silvia Buffa

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