Sono le 17.58 del 23 maggio 1992 quando Giovanni Brusca, su ordine di Totò Riina, preme un telecomando e fa esplodere cinque quintali di tritolo sotto l’autostrada A29, all’altezza dello svincolo di Capaci. A 21 anni da quella strage nella quale morirono il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, due eventi a Catania ricorderanno una delle stagioni più terrificanti della storia siciliana e italiana. Oggi alle 20, davanti al Tribunale etneo, si terrà la consueta commemorazione dei giudici Borsellino e Falcone e di tutte le vittime delle mafie curata dall’associazione Cittàinsieme. Hanno aderito all’iniziativa l’Associazione nazionale magistrati, le associazioni antiracket Asaae e Asaec, i giovani di Arché, Nike, Addiopizzo Catania e #Cataniantimafia, assieme ad altre realtà locali come il centro Astalli, I Siciliani, le Voltapagina, Libera e il centro Talità Kum di Librino. Gli organizzatori hanno invitato famiglie e docenti a coinvolgere i più giovani.
Nell’ambito dell’iniziativa, nel pomeriggio, alle 17, si terrà un dibattito sul rapporto tra informazione e lotta alla criminalità organizzata a cura dell’Anm. Alle 19, invece, partirà da piazza Roma una marcia antimafia organizzata dagli scout dell’Agesci Zona etnea liotru.
Una novità di quest’anno è invece rappresentata dall’incontro I Ragazzi delle Scorte organizzato dal circolo di Sinistra ecologia e libertà Graziella Giuffrida alle 19 nella sede di via Simeto. Punto centrale dell’evento sarà il ruolo dei membri delle scorte, uomini e donne che hanno affiancato e tutt’ora lo fanno coloro i quali sono impegnati in prima linea nella lotta quotidiana alle mafie.
Un calendario fitto, comune a quello di altre città, Palermo in testa dove saranno presenti tra gli altri il presidente del Consiglio Enrico Letta e la presidente della Camera Laura Boldrini. Nella serata di ieri sono salpate le navi Giovanni e Paolo con a bordo tremila studenti diretti nel capoluogo siciliano. I riflettori, dunque, si accendono come ogni anno su coloro i quali hanno pagato con la propria vita la ricerca della verità. Eppure, come ogni anno, c’è anche qualcuno che critica quella che chiama «lipocrisia di stato». Lo sfogo duro e amaro di Salvo Vitale, uno dei compagni vicini al giornalista ammazzato dalla mafia Peppino Impastato, è rivolto soprattutto al mondo politico. «Faranno a gara per raccontarci come combattere ciò che loro proteggono – scrive – Spiegheranno limmensa eredità di un magistrato coraggioso; loro, proprio loro che ne hanno trafugato il testamento, alterato la firma, prodotto un perdurante falso ideologico che ha consentito ai loro partiti di rinverdire i fasti di un eterno potere».
[Foto di Tony Gentile]
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