Storia di Samba, 19enne accoltellato a Scordia «Per una sigaretta mi hanno tagliato la faccia»

Ha 19 anni e 18 punti di sutura che dalla tempia arrivano a sfiorare l’occhio sinistro. Samba Camara è il senegalese che lo scorso 23 maggio è stato accoltellato, a Scordia, all’uscita di un locale. Dal suo Paese d’origine è arrivato in Sicilia con un gommone, è stato salvato dal mare poco prima che l’imbarcazione affondasse. Era il 27 settembre 2013 e da allora la sua vita nell’Isola è stata tranquilla. Fino a sabato, quando quattro giovani lo hanno colpito con un coltello dopo avergli chiesto una sigaretta. «Io non fumo», ha risposto Samba. «Allora dacci i soldi», avrebbero replicato gli aggressori. Che, si apprende da fonti investigative, hanno tutti un’età inferiore ai 25 anni. Ma, al contrario di quanto si supponeva in un primo momento, nel gruppo non ci sarebbero minorenni. 

«Due mi si sono messi davanti, altri due dietro. Ero appena uscito da La Cava, loro erano poco lontani dal Cacjara», racconta Samba. I riferimenti geografici sono i nomi dei locali in cui lui aveva passato la serata quel sabato. E all’esterno dei quali si sarebbe consumata la violenza. Ma a colpire non sarebbero stati dei giovani di Scordia. I primi accertamenti portano verso Palagonia e, forse, anche verso Catania. «Erano le quattro di mattina e stavo tornando a casa», spiega. I suoi amici erano rimasti al locale e lui li aveva salutati un po’ prima. «Sabato mattina avevo affittato la mia prima casa a Scordia. Fino a quel giorno abitavo nello Sprar – dice – Siccome il mio nuovo appartamento è lontano, ho preferito non tornare all’alba. Era la mia prima uscita da quando stavo a casa nuova». E ride: «Primo giorno, primo problema».

Sulla strada, uno dei quattro gli ha domandato una sigaretta. Al diniego di Samba, allora la richiesta è cambiata: i soldi. «Ho detto che non avevo soldi – ricorda – Ma non ho avuto il tempo di finire di rispondere, perché hanno preso il coltello e mi hanno tagliato la faccia». Al primo colpo di coltello il 19enne ha fatto un passo indietro. E due degli aggressori lo hanno bloccato e spinto di nuovo in avanti. La seconda coltellata l’ha evitata per un soffio. «Loro sono scappati, io non capivo niente, mi sono fatto troppo male. C’era tutto il sangue, almeno un litro di sangue ovunque». A questo punto, il racconto di Samba Cambara diventa più confuso: «Mi sentivo perso, ho camminato». Ed è arrivato a casa di Rocco Sciacca, uno dei responsabili della cooperativa che gestisce il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. «Abbiamo chiamato l’ambulanza, mi hanno portato all’ospedale di Militello».

In due anni, da quando è arrivato in Sicilia a oggi, Samba non si era mai spaventato tanto. «Ho pagato 1.500 dinari per arrivare dalla Libia a Portopalo – afferma – Eravamo in 90 su un gommone. Non potevamo starci, eravamo tutti in piedi. Siamo stati in mare per quattro giorni, poi la barca si è rotta, alcuni sono caduti in acqua. Ci hanno salvati gli italiani». Era il settembre 2013. Un mese a Priolo, poi cinque mesi a Mineo e, infine, dal 28 marzo 2014, lo Sprar di Scordia. A novembre gli è stato dato il permesso di soggiorno. «Qua faccio un tirocinio formativo – spiega – Lavoro in un magazzino di arance, le sistemo nelle casse». Ormai nel Comune del Catanese si sente a casa. «Ho conosciuto tanti amici a scuola e poi al lavoro». Gli stessi amici che, in questi giorni, gli stanno accanto.

Martedì è stato invitato a parlare al liceo Majorana. Un incontro su diritti civili e integrazione organizzato dall’associazione Rights for everyone. «Ho detto ai ragazzi che con le persone di Scordia sono sempre stato felice, quindi le cose non cambiano adesso», conclude. Nel frattempo, sulla storia di Samba Camara interviene Scordia Bene Comune, il movimento politico che per primo ha raccontato la vicenda dell’accoltellamento. «In tutta questa storia – afferma Guido Rizzo, consigliere comunale – una delle cose che mi lascia più stranito è che l’amministrazione comunale non gli abbia mai mandato neanche un messaggio di solidarietà. Ecco, questo aggiunge vergogna alla vergogna». Affermazioni a cui ha voluto replicare il primo cittadino del Comune calatino: «Subito dopo l’accaduto – precisa Franco Tambone – ho personalmente incontrato il ragazzo per verificare le sue condizioni di salute ma anche per esprimere  la mia personale vicinanza e quella della comunità di Scordia così come ho già sottolineato agli organi d’informazione. Sto seguendo con attenzione lo sviluppo delle indagini di cui si stanno occupando gli inquirenti»

Luisa Santangelo

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