Uno dei punti di snodo di un sistema articolato di controllo del territorio. «Un bene patrimoniale, riconosciuto e tutelato dalle norme che lo proteggono», trasformato ormai da anni in una latrina. È una delle garitte del Lungomare, la struttura realizzata «tra la fine del 1500 e gli inizi del 1600 dagli spagnoli», fotografata dai componenti della pagina Lungomare liberato nel suo stato attuale di vero e proprio bagno pubblico e vandalizzata. «È un elemento molto importante ed è anche vincolato», spiega Iorga Prato, tecnico archeologo. Chiamate dai catanesi torri saracene, in realtà i piccoli edifici sono stati costruiti per difendersi proprio dagli attacchi degli ottomani provenienti dal mare.
La torre sorge a pochi metri dalla scogliera, nei pressi dell’istituto Nautico. Un punto considerato strategico nel passato. «La torretta, assieme alle altre lungo la costa in tutta la Sicilia, aveva una funzione di vigilanza», racconta l’esperto. Attraverso un sistema di fuochi accesi – come quello descritto anche in un passaggio della trilogia de Il signore degli anelli – era possibile monitorare ampie porzioni di territorio altrimenti sguarnite. «La distanza tra le singole garitte – aggiunge Prato – era calcolata sulla base delle condizioni del terreno». Data l’importanza strategica della baia di Catania e la sua particolare conformazione, le torri erano abbastanza ravvicinate tra loro ed «è ancora oggi possibile seguirne il tracciato disegnato dagli architetti militari dell’epoca».
Nel centro storico etneo una garitta è stata trovata in occasione dei lavori di scavo compiuti attorno al fossato del Castello Ursino. «Anche la torre campanaria della cattedrale, alta oltre 99 metri e crollata a causa del terremoto del 1693, faceva parte di questo sistema». Un’altra è visibile nei dintorni di piazza dei Martiri, nella zona della stazione centrale. Un’altra garitta nota ai catanesi è quella di piazza Europa. E poi quella rappresentata dalla torre della chiesa madre di Ognina per arrivare, più a nord, a quelle nell’Acese di Aci Trezza, Capo Mulini e Stazzo.
Un ruolo importante di cui oggi non resta che il ricordo. E, nel caso della struttura di Ognina, nemmeno quello. «È un bene architettonico storico-monumentale, dal valore militare – commenta Prato – tanto importante che sulla carta è anche protetto». Qualche anno fa, ricorda, «si è parlato di un possibile recupero – conclude il tecnico archeologo – Poi, purtroppo, tutto è caduto nel dimenticatoio».
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