«Erano in due, entrambi con i coltelli e stavano litigando. Quando ho cercato di parcheggiare l’auto, insieme a mio figlio e mia nipote, due bambini, li ho visti: avevano tagli sul volto e sulle braccia, le magliette intrise di sangue, scappavano. Sono andata via subito». Così una residente di piazza papa Giovanni XXIII, di fronte alla stazione etnea, racconta il caso scoppiato nel tardo pomeriggio di oggi nella vicina via Marchese di Casalotto. E che ha impegnato, secondo la testimone, una decina di volanti delle forze dell’ordine e due ambulanze. «Il problema è che qui succede ogni giorno e non bisogna arrivare al sangue per intervenire», continua la residente.
Protagonisti della rissa sono due nordafricani, forse un tunisino e un marocchino, sulla trentina. La lite si sarebbe accesa intorno poco dopo le 19, quando i due si sono affrontanti armati di coltelli. Non è chiaro se entrambi fossero ubriachi, «ma non si reggevano in piedi», racconta la donna. Adesso i due sono stati medicati, portati in due ospedali diversi e, più tardi, verranno interrogati. Da accertare resta ancora il motivo della lite. Un caso comunque non isolato nella zona. «Litigano ogni giorno, più volte al giorno, spesso per soldi. Bevono moltissimo e sporcano ovunque, anche con i propri bisogni corporali». Un problema di decoro, ma non solo. «La mia casa ha ormai peso 100mila euro di valore, è un danno enorme per me», spiega la residente.
Oggi la giornata non era diversa dalle altre, nonostante le domeniche finora siano sempre state più tranquille nella zona. «Litigavano da stamattina, hanno cominciato a gridare e a picchiarsi, così abbiamo chiamato la polizia, come sempre – prosegue – Ma al 112 e al 113 non rispondeva nessuno, squillava a vuoto. Quando è passata una volante, tutto era finito, non c’era sangue e quindi hanno tirato dritto». Per poi tornare la sera. Le liti più comuni, infatti, spesso violente – «di solito si prendono a colpi di bottiglia rotta» – divampano in pochi minuti. «Ma non può andare avanti così», commenta arrabbiata la signora. Il suo riferimento è a Padova, da cui Catania avrebbe molto da imparare, secondo la residente. «La chiamano la città dei divieti, ma è giusto così – spiega – Lì hanno dimostrato che un sindaco ha il potere di portare ordine e pulizia, perché a Catania non succede? Dobbiamo arrivare al morto?».
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