Una decisione dettata dai tempi ormai maturi, ma che lascia dietro di sé una lunga serie di interrogativi. Si tratta del trasferimento della quasi ex prefetta di Catania Maria Guia Federico, che ha superato i canonici tre anni di permanenza in città e avrà come nuova destinazione Campobasso. Un mandato, quello della rappresentante etnea del Viminale, che è diventato incandescente specie negli ultimi due anni. Dai dubbi di possibili infiltrazioni mafiose al Comune di Catania al bando per la raccolta dei rifiuti, passando per la gestione del Cara di Mineo e delle spiagge libere etnee e la vicenda della discoteca Empire.
Le possibili infiltrazioni mafiose al Consiglio comunale di Catania
La poltrona di Federico ha cominciato a scottare a cavallo tra il 2015 e il 2016, quando sono stati resi noti i nomi dei consiglieri etnei – comunali e circoscrizionali – su cui pesano i dubbi della commissione Antimafia regionale prima e di quella nazionale poi. Dieci persone, la maggior parte citate a causa di scomode parentele con pregiudicati. Tra questi c’è Mario Tomasello, consigliere della prima circoscrizione Centro storico, finito nella lista a causa del defunto fratello Massimo Carmelo, più volte arrestato in operazioni antimafia, e poco dopo posto lui stesso ai domiciliari per un’indagine su una maxi-truffa alle assicurazioni con falsi incidenti stradali. E anche il nome del consigliere comunale Francesco Petrina, contenuto nella prima relazione perché identificato come il «Retina, Etna bar» citato dal collaboratore di giustizia Vincenzo Pettinati e tornato la scorsa settimana agli onori delle cronache per avere venduto le sue quote dell’Etna bar a quella che oggi è la compagna di Cosimo Tudisco, ritenuto vicino al clan Cappello-Bonaccorsi. Sul tema la prefetta Federico è stata chiamata a relazionare all’Antimafia nazionale lo scorso ottobre e ha annunciato di avere avviato, insieme alle forze dell’ordine locali, una revisione delle parentele fino al terzo grado di tutti i consiglieri etnei. Confermando le notizie già emerse e aggiungendone di nuove. In questo contesto la commissione aveva chiesto alla funzionaria di intervenire con un’accurata analisi degli atti dei consiglieri citati. Ma Federico aveva risposto allargando le braccia: «Era tutto già così al momento della loro elezione, pertanto non sussistono le condizioni per effettuare l’accesso agli atti del Comune di Catania». Una replica che non era piaciuta ai componenti della commissione di Palazzo San Macuto. E che arrivava dopo una serie di altre preoccupanti circostanze avvenute a Catania.
I compensi nel business dei rifiuti
Tra le problematiche affrontate nella provincia etnea ci sono quelle collegate allo smaltimento della spazzatura. Tutti nodi contenuti in un dossier di 400 pagine firmato dalla commissione parlamentare antimafia che ha denunciato l’incidenza di lobby, corruzione, illegalità e mafia nel ciclo dei rifiuti etneo da circa 15 anni. Al tavolo di palazzo San Macuto si è discusso di discariche, inceneritori, interdittive antimafia e compensi per i commissari della Ipi-Oikos. Su quest’ultimo punto a sollevare il caso è stato il parlamentare del Partito democratico ed ex sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta. Che aveva denunciato la «totale discrezionalità utilizzata dalla prefetta» nella scelta dei quattro consulenti, selezionati «senza alcuna trasparenza». Metodo adottato da Federico, sempre secondo Berretta, anche nel caso degli emolumenti. Perché anziché rivolgersi all’Anac, la funzionaria avrebbe «preferito scegliere in maniera discrezionale le cifre, permettendo ad alcuni commissari di accumulare più incarichi percependo ben 45mila euro mensili».
Le indagini sul Cara di Mineo
Un altro dei casi che ha turbato il mandato della prefetta Federico è il commissariamento del Cara di Mineo. Una richiesta arrivata agli uffici di Palazzo Minoriti direttamente da Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, che nel 2015 ha sollecitato la quasi ex prefetta di Catania affinché intervenisse sul centro di accoglienza per richiedenti asilo più grande d’Europa. La cui gestione, un affare da cento milioni di euro, era finito nelle carte dell’inchiesta Mafia Capitale della procura di Roma. A questo, poi, si aggiungeva una delibera della Corte dei Conti, secondo la quale la creazione del Consorzio di Comuni – guidato dalla sindaca di Mineo, Anna Aloisi – sarebbe stato un errore del ministero dell’Interno e della prefettura di Catania.
La gestione della whitelist
Un punto, quest’ultimo, che è valso non poche critiche a Maria Guia Federico, soprattutto dopo l’inserimento nel documento della società dell’incensurato Angelo Ercolano – nipote del defunto capomafia Pippo Ercolano e cugino del killer Aldo -, la Sud trasporti. L’uomo compariva nell’elenco di «fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei settori ritenuti a maggiore rischio». Ma nel 2013 era stato denunciato perché ritenuto componente di un sistema di evasione del Fisco tramite un maxi giro di presente fatture false. Episodio al quale la prefetta aveva replicato: «Se nella legge non è scritto che chi si chiama Ercolano o Santapaola o Zagaria debba essere escluso da tutti i vantaggi economici per vent’anni, come può un prefetto di provincia escludere Ercolano laddove ci sono circostanze e indagini che non hanno rilevanza nei suoi confronti».
Lo scandalo della discoteca Empire
Il locale di via Zolfatai è stato uno dei grattacapi della funzionaria dopo che lì l’amministrazione comunale, rappresentata dal sindaco Enzo Bianco e dall’assessore alla Cultura Orazio Licandro, ha inaugurato l’iniziativa La strada degli artisti. Un appuntamento istituzionale come tanti se non fosse che dal 2006 la discoteca era coinvolta nelle indagini dell’operazione Atlantide. Il locale, di proprietà di Mimmo Di Bella, qualche giorno dopo è stato raggiunto da un decreto di sequestro e di confisca voluto dalla procura di Catania. Secondo gli inquirenti, infatti, la struttura farebbe parte del patrimonio di Giacomo Nuccio Ieni, presunto esponente del clan mafioso Pillera-Puntina, ai tempi impegnato in un procedimento giudiziario partito nel 2006 e arrivato al secondo grado, e poi condannato a nove anni per mafia. Una vicenda dai contorni imbarazzanti per il Comune di Catania che si è giustificato dicendo di non conoscere le vicende giudiziarie collegate all’Empire.
Spiagge libere, i parcheggi gestiti dal cugino del boss
Un altro dei casi scottanti giunti all’attenzione della funzionaria parte dallo scandalo – rivelato in esclusiva da MeridioNews – della gestione della sosta a pagamento nelle spiagge libere numero 1 e 3 della Playa etnea affidata a Orazio Buda, cugino del boss del clan Cappello Orazio Privitera. A parlare di Buda è anche il pentito Giacomo Cosenza, solo uno dei collaboratori di giustizia che negli anni hanno raccontato chi sia il pluripregiudicato, arrestato nel 2014 nel corso dell’operazione Prato verde della procura di Catania e destinatario di una confisca antimafia da 600mila euro a maggio 2016. Secondo i magistrati, fino al 2012 Buda si era appropriato della gestione del parcheggio del lido La cucaracha, imponendo la sua presenza ai titolari dello stabilimento balneare. L’estate scorsa, ex sorvegliato speciale in attesa di giudizio, è tornato al lungomare Kennedy, in qualità di responsabile della sosta delle spiagge libere. L’uomo risultava dipendente della società Caffè Napoleon di viale Nitta, l’impresa di Librino che si era aggiudicata la gestione delle aree attrezzate comunali e che non nuova all’intervento delle forze dell’ordine: nel 2013, infatti, erano stati arrestati sei presunti esponenti della famiglia Santapaola-Ercolano, accusati di aver chiesto il pizzo a un bar a partire dal 2004.
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