Sos Mediterranee si racconta in un documentario «Umanizzare il rapporto fra migranti e cittadini»

«Potrei raccontarvi un sacco di storie, di ragazze trafficate che hanno solo un numero, un contatto a cui appigliarsi. Di donne violentate più di cento volte e vendute nei loro paesi. Di uomini denudati, umiliati e costretti a combattere contro altri uomini fino a uccidersi. Dei ragazzi di un intero autobus costretti con la forza a violentare una coetanea. Sembra di fare la lista della spesa, ma pensate a cosa significa solo una di queste cose». La voce di Giorgia Linardi, che fa parte della staff di Medici senza frontiere, non trema mentre traccia il macabro elenco. Giorgia però non è un medico. Il suo compito è quello di sentire le storie di ogni singolo migrante, una per una, e di segnalare poi i casi più delicati che necessitano di un’attenzione particolare. Per otto mesi è stata una testimony collector a bordo della nave Aquarius, l’imbarcazione con cui l’associazione umanitaria franco-italo-tedesca Sos Mediterranee ha salvato migliaia di vite da morte certa. A un anno dall’inizio della sua attività, l’associazione fondata da Klaus Vogel si racconta in un breve docufilm realizzato da Magheweb, a firma degli autori Gabriele Tramontana e Vincenzo Allotta.

Dieci minuti, sufficienti per mostrare quello che lo staff di Aquarius fa quotidianamente in mezzo al Mediterraneo. «Le prime vittime sono sempre i bambini», si legge subito sullo schermo. Uno dei motivi per cui, nel bene e nel male, secondo Laurin Schmidh «questo lavoro ti cambia la vita». La prima proiezione ufficiale è avvenuta ieri sera all’ex noviziato dei crociferi, nel cuore della Kalsa. «Non siamo qui per celebrare i salvatori della patria. Il punto non siamo noi, né come eroi o criminali, gli eroi sono loro che sopravvivono a cose terribili e che noi abbiamo il dovere di accogliere e aiutare, facendo sì che il nostro impegno abbia valore», continua a dire Linardi. Per lei i migranti vanno sempre raccontati, loro non si raccontano da soli, serve un filtro che sia però il più genuino possibile, ma lei assicura di «portarli tutti sulla pelle», quei migranti. Come la ragazza di vent’anni che, appena salita a bordo dell’Aquarius, le muore tra le mani: «Abbiamo provato a rianimarla per mezzora ma non ce l’ha fatta – racconta – Alla fine mi sono accorta di avere la sua pelle ustionata fra le mani e questo mi ha impressionata. So che è dura, ma solo raccontarli dà loro identità».

Sono oltre 300 le testimonianze raccolte a bordo della nave. Storie di sopravvissuti, che portano addosso i segni di quel viaggio per mare e di quello precedente, attraverso il deserto. Arrivano a bordo sfiancati, sporchi di vomito e maleodoranti, puzzano di carburante. Ma la salvezza trasforma subito l’atmosfera. «Cominciano a cantare e a ballare, insomma si festeggia, quasi abbiano dimenticato quanto passato solo fino a poche ore prima», si spiega nel documentario, che fa di tutto per far sentire lo spettatore a bordo dell’Aquarius insieme al suo team di volontari. Ma di fatto oggi esiste un problema: «Si tende a criminalizzare la solidarietà. Il tentativo è quello di rendere perseguibile l’intervento umanitario, anche in caso di assenza di scopo di lucro. Lo conferma il recente attacco indiscriminato alle Ong», spiega Fulvio Vassallo Paleologo, dell’associazione Diritti e frontiere. Secondo lo studioso la sfida odierna sarebbe quella di mettere insieme le comunità locali, per «umanizzare il rapporto fra migranti e cittadini». Basterebbe, insomma, che ognuno facesse la propria parte.

Fino a quel momento Aquarius continuerà la sua navigata per il Mediterraneo, fino a quando non ci saranno più barconi e sos a cui rispondere. E Klaus Vogel, il fondatore, non ha dubbi in merito: «Quando ti sporgi e tendi le tue braccia per afferrarne altre due e così trarle in salvo, sai che è la cosa giusta da fare». 

Silvia Buffa

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