Sorelle Napoli, il caso arriva in Commissione antimafia «A Mezzojuso a contare è più l’immagine che la legalità»

«Ci aspettiamo che venga fuori la verità». È questa adesso la speranza più forte per le tre sorelle Napoli, che oggi pomeriggio sono state ascoltate a Palermo dalla Commissione antimafia. «Abbiamo raccontato la nostra storia – spiegano alla fine dell’audizione -, speriamo che tutto questo porti a risultati soddisfacenti, specie a dispetto di tutti quelli che ci hanno fatto continue angherie e soprusi, e dopo tutto il fango che ci è stato buttato addosso». Lo dicono quasi all’unisono le tre sorelle, riferendosi a quanto circolato sulla stampa su un presunto passato da mafioso del padre, morto nel 2006. «È tutto manovrato, non è giusto infangare la memoria dei morti, è una cosa che ci fa molto male».

Intanto, le minacce sembrerebbero finite per il momento, non ci sarebbero più stati episodi simili a quelli denunciati in passato dalle sorelle. «L’unica cosa che per ora temiamo è che qualcuno si venga ad appostare sotto alla nostra casa, abbiamo notato molte auto di passaggio, gente che faceva foto, ma speriamo siano solo delle nostre suggestioni. In campagna ci andiamo da sole – raccontano -, abbiamo un po’ di ansia, specie la sera e se magari non siamo neppure tutte e tre insieme». A soffrire molto è anche la madre anziana delle tre sorelle, a conoscenza della vicenda e dei recenti risvolti, che teme possa accadere da un momento all’altro qualcosa a una delle sue figlie. «Quando non siamo insieme chiede continuamente “telefona, vedi dove sono arrivate le tue sorelle, vedi che fanno”, vivere in questa maniera è assurdo – si sfogano -. Ma dobbiamo farci coraggio e andare avanti, in fondo abbiamo già trovato il coraggio di denunciare». Il loro terreno si trova nell’ultima parte del territorio corleonese, a 15 minuti da Mezzojuso, con cui confina a nord. Mentre a est c’è Godrano, a sud Corleone e a ovest Campofelice di Fitalia. «Confiniamo con quattro aziende agricole diverse, perché negli anni questi sconfinamenti sono avvenuti solo nella nostra proprietà? Perché sono state tagliate solo le nostre recinzioni?».

Le diverse denunce presentate dalle sorelle sarebbero culminate tutte in una serie di indagini. «Noi abbiamo fatto dei nomi precisi, gli inquirenti stanno indagando. Da quando ci siamo rivolte ai carabinieri i soprusi sono finiti». Ma alle presunte intimidazioni patite, si sarebbero aggiunte le recenti voci sul passato mafioso del padre. «È la classica macchina del fango, tutta una montatura – ribadiscono loro -. Questo generale che parla, prima si riferisce a noi come se fossimo due sorelle, poi si corregge e dice che siamo tre. Pensiamo che confonda nostro padre con un altro Napoli, che ha tre figli maschi, un caso di omonimia. Semmai è parente della vice sindaca di Mezzojuso, Giorgia Napoli, che è cugina diretta. Il generale si confonde. Noi nemmeno lo conosciamo quest’uomo».

Ma a circolare, adesso, non è solo l’ambiguo passato del padre delle sorelle, che loro difendono a spada tratta. Ma anche la notizia dell’arresto di Simone La Barbera, loro presunto aguzzino tornato in galera con la recente operazione antimafia Cupola 2.0. Secondo il loro racconto, sarebbe stato proprio lui in passato a minacciarle e intimidirle. «Mezzojuso non parla di tutto quello che è successo ultimamente, non parla di questo arresto. Si preferisce continuare a parlare di noi ma pensiamo che anche questo sia un fatto importante per il paese – insistono le tre donne -. Il sindaco Giardina dice che vuole ricucire il rapporto, ma non s’è mai fatto vedere, perché?». Intanto, da circa un mese intimidazioni e soprusi sembrerebbero essere finiti. Una circostanza che tutte e tre collegano al recente arresto di La Barbera. «Dal 13 al 17 novembre ci sono stati sconfinamenti e recinzioni tagliate, ma è tutto finito dopo quell’arresto e da quando siamo andate in televisione».

Malgrado siano finiti i soprusi, però, sembra continuare la solitudine in cui sembra siano state relegate le sorelle Napoli. «Abbiamo avuto supporto solo dalle forze dell’ordine. Il resto della famiglia Napoli c’ha disonorate perché abbiamo denunciato tutto ai carabinieri – confessano -. A Mezzojuso non si denuncia, eh. Conta più l’immagine che la legalità». Dalla loro parte non ci sarebbe neppure la chiesa del piccolo paesino. «Dicono che il parroco ci ha donato diecimila euro … Che quella era una donazione lo apprendiamo adesso, quando il prete ci ha dato quei soldi disse che era un prestito, forse dovrebbe passarsi una mano sulla coscienza», concludono.

Un isolamento percepito in maniera palpabile anche al presidente della Commissione antimafia, Claudia Fava, che le ha incontrate oggi pomeriggio. «Questa è una vicenda emblematica, perché riguarda tre donne sole, nella periferia siciliana, che hanno alle spalle una cultura molto maschilista e arcaica che prevede che in queste vicende le donne stiano sempre un passo indietro – il suo immediato commento, a fine incontro -. Emblematica anche perché penso che di storie così ce ne siano tante in giro, magari non di tre sorelle da sole, questa è una storia un po’ eccezionale. L’idea che alcune questioni si possano risolvere con la forza, pretendendo o minacciando o assumendo la prepotenza come arma di risoluzione delle questioni è una cosa in Sicilia abbastanza diffusa, specie in certe periferie».

L’incontro di oggi è stato secretato e lo stesso Fava tenta di non sbilanciarsi troppo. «Il compito di questa commissione non è quello di fare da cassa di risonanza ma di indagare e anche di tutelare coloro che vengono ascoltati, motivi per cui abbiamo deciso di secretare la seduta – spiega -. Sommando audizioni su audizioni, quello che faremo è acquisire tutti gli atti giudiziari inerenti alla vicenda, presenti e passati. Noi non siamo un tribunale, mi auguro che le tre sorelle si ritengano tutelate, a fronte della condizione di solitudine per un verso e di isolamento per l’altro di cui soffrono». 

Silvia Buffa

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