Sma e pregiudizi? La lezione del piccolo Andrea agli adulti

Voglia di vivere e di condividere che la vita è un dono. La storia del piccolo Andrea racconta come nel quotidiano sia sempre necessario apprezzare chi siamo e aprire il cuore al prossimo. La mamma di Andrea è una giovane imprenditrice che vive a pieno la sua vita tra lavoro e famiglia. Nonostante le difficoltà comportate da una compagnia che nessun genitore desidererebbe per il proprio figlio: l’atrofia muscolare spinale (Sma). «La diagnosi di una patologia genetica rara all’interno di una famiglia va a cambiare la prospettiva di vita nel quotidiano – racconta Clara Battaglia – Con mio marito ci siamo posti tante domande. Su tutte: adesso da dove iniziamo? Ma non ci siamo persi d’animo e abbiamo reagito muovendoci su due fronti». Il primo, necessario, è stato cercare il confronto con altre famiglie che vivessero la stessa realtà. Nasce così il rapporto con l’associazione famiglie Sma. Di cui oggi Clara è entrata a far parte del direttivo nazionale. Intanto, ad aiutare la coppia sono stati anche tanti colloqui con gli psicologi.

Andrea ha 5 anni e soffre di una forma di Sma di tipo 2 che gli impedisce di camminare. Quello che non può impedire, però, è la vivacità e l’allegria di un bambino pieno di vita. Andrea cammina con la sedia a rotelle da quando aveva 1 anno, la sua patologia è caratterizzata dalla debolezza muscolare e ipotonia da degenerazione e perdita dei motoneuroni, soprattutto gli arti inferiori e al tronco. La malattia è un percorso fatto da tanti passi, da percorrere rimboccandosi le maniche. «Andrea vive tutto questo con grande naturalezza – racconta la madre – È proprio lui a spiegare la patologia sia ai bambini che ai genitori. Per noi non è un deficit, ma una caratteristica». Clara Battaglia racconta anche di come Andrea, insieme agli altri bimbi dell’associazione, abbia sviluppato negli anni doti cognitive che vanno a compensare quelle motorie. «Sono loro stessi che indicano la strada e da genitori dobbiamo percorrerla – continua Clara Battaglia – Da mamma e da donna sto imparando tantissime cose grazie a mio figlio. Se guardo indietro, i miei limiti erano costituiti da pregiudizi, anche sul concetto di disabilità».

L’apporto delle famiglie resta fondamentale, anche per la ricerca. Dal 2017 è stato approvato un primo farmaco dal nome Spinraza che viene somministrato nei vari centri specializzati e che blocca o rallenta l’evolversi della patologia. Un altro progetto seguito dall’associazione famiglie Sma è la mappatura dello screening neonatale esteso a tutti i bambini. Un progetto che però in questo momento viene portato avanti solo in Lazio e Toscana. Alla ricerca, va poi affiancata una precisa gestione delle attività quotidiane con fisioterapie, tutori macchinari per monitorare le vie respiratorie. In Sicilia il punto di riferimento è il centro Nemo Sud all’interno del policlinico di Messina. «Lì i bambini sono abbastanza seguiti – spiega la mamma di Andrea – Durante le infusioni c’è una psicologa che racconta loro delle favole, rendendo più sostenibile questa fase. In questo momento di pandemia, insieme alle altre famiglie, ci siamo poi attivati con progetti e momenti di incontro».

«Bisogna dare uno spazio alle famiglie per ascoltare le proprie emozioni come paura, rabbia e tristezza per legittimare quello che sentono». Lo spiega così Simona Spinoglio, psicologa dell’associazione famiglie Sma, lei stessa affetta dalla patologia. «Durante gli incontri, cerco di far aprire un canale di domande anche intime – racconta la dottoressa – La mia esperienza può essere da stimolo, facendo risvegliare quel senso di resilienza della famiglia per far capire che si può convivere con la Sma. Non bisogna guardare solo alla patologia, ma soprattutto al proprio bambino, di cui la malattia è solo una parte di un mondo ben più ampio, con tutte le sue potenzialità».  

Peppe Costa

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