Skanderbeg, i pentiti raccontano l’egemonia dei Nizza «Un chilo di coca ogni 20 giorni venduta a 60mila euro»

Dodici piazze di spaccio e una regia unica: quella del clan Nizza e della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. Parola di alcuni pentiti, un tempo soldati e personaggi di massima fiducia proprio dei Nizza. Un cognome e cinque fratelli che hanno dedicato la loro vita a mafia e narcotraffico, riuscendo a imporsi quasi da monopolisti del mercato ai piedi dell’Etna. Affari a sei zeri con preziosi contatti sparsi tra l’Albania e la Calabria. Nell’indagine Skanderbeg, 101 indagati per associazione mafiosa e droga, non c’è nessuno della famiglia tra gli indagati, anche se quel cognome è stato più volte ripetuto dai pentiti. «Tutte le piazze di spaccio – racconta l’ex affiliato Angelo Bombace – erano rifornite da noi come gruppo Nizza. Anche i gestori appartengono a questo gruppo e quando c’erano discussioni prendevano ordini da Andrea Nizza».

Trentaquattro anni, in carcere dal 2017 quando venne arrestato dopo una latitanza cominciata a fine 2014. Andrea Nizza è il più giovane dei fratelli a essersi imposto nel narcotraffico seguendo il modello gomorra. Il confine della sua roccaforte, per molto tempo, è stato il civico 10 di viale Moncada, nel quartiere Librino. «Quando c’erano tensioni con i gruppi rivali, anche loro scendevano al viale Moncada e si mettevano a disposizione. Io stesso li ho visti arrivare su ordine di Andrea», racconta il pentito Bombace in un verbale del 21 settembre 2016

Cocaina e marijuana sono le droghe principali spacciate nel rione San Giovanni Galermo. «Gli vendevamo la cocaina a 60mila euro al chilogrammo – continua Bombace – Generalmente la frequenza era di un chilo ogni venti giorni. I soldi servivano per pagare lo stupefacente, la settimana agli affiliati liberi e gli stipendi ai detenuti». Il resto sarebbe finito nel forziere di Nizza. Il boss, adesso detenuto e sottoposto al regime del carcere duro, beneficerebbe di uno stipendio anche dietro le sbarre. I carabinieri dentro l’abitazione di Michele Lorenzo Schillaci – detto l’albanese – hanno trovato un vero e proprio libro mastro con gli appunti di nomi e cifre; variabili da un minimo di 800 euro, per i detenuti di minore spessore, fino a 2500 euro per i capimafia di rango, come lo stesso Nizza. 

Ulteriori dettagli a queste informazioni le ha fornite il pentito Silvio Corra, cognato del defunto Angelo Santapaolaucciso in un ex macello della zona industriale etnea durante un regolamento di conti interno alla stessa famiglia di cosa nostra catanese. «Schillaci gestiva da solo la carta degli stipendi – racconta – Cancellava i nominativi degli affiliati che venivano messi agli arresti domiciliari e, inoltre, aveva diminuito gli importi per i detenuti da 1000 euro a 800 euro». Schillaci prima di entrare nel gruppo Nizza sarebbe stato vicino al boss Alfio Mirabile. «Tra il 2010 e il 2011 i Nizza si incontrarono con Paolo Mirabile e gli comunicarono che Schillaci era passato con il loro gruppo». 

L’investitura sarebbe avvenuta prima di una scarcerazione: «Nel carcere di Agrigento mi dissero che Schillaci aveva preso accordi con Daniele Nizza, secondo cui appena scarcerato avrebbe gestito le piazze di spaccio di San Giovanni Galermo», si legge in un verbale del pentito Dario Caruana, ex affiliato del gruppo Mirabile. Tra lui e l’uomo soprannominato l’albanese ci sarebbe stato un rapporto diretto: «Ci conoscevamo personalmente perché faceva parte del nostro gruppo. Si occupava di gestire una casa di gioco d’azzardo che avevamo aperto a Mascalucia oltre a fare recupero crediti utilizzando il nome del gruppo Mirabile». 

Dario De Luca

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