Sit-in per pescatori accusati di essere trafficanti «Soccorrere è un principio ma anche un dovere»

Pescatori, non trafficanti. Non sarebbero altro che questo i sei tunisini detenuti ad Agrigento per aver soccorso in mare a fine agosto, a largo di Lampedusa, un’imbarcazione in difficoltà con a bordo 14 migranti. Non ci hanno pensato due volte, il capitano e il suo equipaggio, quando si sono dati da fare per trainarli in salvo e metterli in sicurezza. Motivo per il quale per loro sono scattate le manette. L’accusa, questa mattina discussa in udienza al tribunale del Riesame a Palermo, è quella di aver favorito l’ingresso irregolare e clandestino dei migranti tratti in salvo. «Ecco che torna un discorso vecchio, già sentito, quello che criminalizza chi presta soccorso, chi aiuta qualcuno in mare obbedendo a un obbligo, a un codice etico imprescindibile», dicono gli esponenti del Forum Antirazzista di Palermo, in sit-in davanti al palazzo di giustizia per chiedere la scarcerazione di Chamseddine Bourassine, capitano del peschereccio ora sotto sequestro a Licata, e dei suoi uomini, Lofti Lahiba, Farhat Tarhouni, Salem Belhiba, Bechir Edhiba, Ammar Zemzi. Un riferimento proprio agli articoli 489 e 490 del codice della navigazione, relativi a «obbligo di assistenza e obbligo di salvataggio» che, appunto, impongono di intervenire in caso ci si imbatta in un’altra imbarcazione che corra un qualche pericolo: «È del pari obbligatorio, negli stessi limiti, il tentativo di salvare persone che siano in mare o in acque interne in pericolo di perdersi», per citarne un passaggio.

«Hanno solo fatto il loro dovere, non potevano sottrarsi, ma adesso per assurdo devono andare incontro a questo tipo di criminalizzazione, tirata in ballo anche e soprattutto contro chi risponde a un proprio obbligo», ribadisce Judith Glitze del Forum Antirazzista. A unirsi ai loro cori di protesta e sensibilizzazione ci sono anche la Cgil Palermo e il suo ufficio migranti, che in merito alla vicenda reclamano chiarezza e un’equa difesa da garantire ai membri dell’equipaggio. «Chiediamo alla magistratura di fugare ogni dubbio sull’accaduto, nella salvaguardia e nel rispetto del principio e del dovere di soccorrere in mare, come previsto dal codice marittimo internazionale – dichiarano Calogero Guzzetta, della segreteria della Camera del Lavoro e Bijou Nzirirane, responsabile ufficio migranti Cgil Palermo -. Palermo è vicina a questi lavoratori». Città che, a sentire il suo sindaco, Leoluca Orlando, vuole essere dell’accoglienza, sembra però arrancare di fronte a episodi simili. Non si contano, infatti, nel solo tribunale di Palermo i procedimenti a carico di presunti scafisti, ad esempio, che dichiarano con forza di essere dei semplici migranti come gli altri in cerca di abbandonare gli orrori della Libia. O contro chi, come in questo caso, trae in salvo chi è in difficoltà in mare. Più volte, addirittura a livello nazionale, si è puntato il dito contro il lavoro svolto dalle Ong.

Intanto, Chamseddine Bourassine, il comandante del peschereccio, oltre ad aver ricevuto da Medici Senza Frontiere una formazione specifica per poter operare il salvataggio in mare, è membro dell’associazione dei pescatori di Zarzis, nota per il suo attivismo e spesso in prima linea nella battaglia per la difesa dei migranti che si spostano dal Nord Africa e nei salvataggi in mare. «Chiediamo che venga interpellata l’associazione», reclama infatti la Cgil Palermo, convinta che gli operatori potrebbero contribuire non poco a fornire un quadro più corretto del comandante coinvolto nella vicenda. Anche la società civile di Tunisi ha manifestato per chiedere la liberazione dei sei pescatori. «Speriamo che si faccia in modo che queste cose non accadano mai più», è infine il monito che giunge dal sindacato. Ma gli appelli, in queste settimane, non sono mancati. Insieme alla Cgil, infatti, anche le altre associazioni di categoria, come la Cisl e la Uil: «Chiediamo il rispetto del diritto di salvare vite in mare».

Silvia Buffa

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