Politica

Sisma di Santo Stefano. Barbagallo (PD): «Sono state create le premesse per lasciare delle incompiute»

A distanza di quattro anni di distanza dal terremoto di Santo Stefano, che ha segnato duramente alcuni centri della zona etnea, le operazioni di ricostruzione e di ripristino degli immobili danneggiati rimangono ancora in sospeso. Sarebbe il caso di chiedersi ma soprattutto di chiedere a chi amministra e a chi Governa, da Roma a Palermo, se per i siciliani i principi di efficacia ed economicità siano stati cancellati. Se la tempestività rimane solo una parola da collegare, ipoteticamente, al maltempo, alla tempesta appunto, piuttosto che ad interventi immediati.

Dopo quasi 1.460 giorni ci sono abitanti che attendono risposte davanti ad un silenzio assordante della Regione, del Parlamento e del Governo nazionale. Perché quando davanti non alle parole ma ai fatti, alle procedure emergono delle storture si dovrebbe intervenire prontamente e non lasciare stare. Poco o nulla hanno prodotto gli appelli lanciati anche dai tecnici, dai deputati a sala d’Ercole e a Montecitorio. «Purtroppo – ha dichiarato l’on. Anthony Barbagallo del Partito Democratico – la ricostruzione del terremoto non va bene. Sta rimanendo un’incompiuta. Non serve esibire 154 pratiche evase a fronte di 381 presentate. Il problema non è nel primo numero, ma nel secondo, che è bassissimo! 381 domande rappresentano circa un decimo degli edifici che il sisma del 2018 ha reso inagibili. E gli altri? Nonostante le ordinanze commissariali abbiano aperto anche alle seconde case le domande sono incredibilmente poche. Si è creata una frattura profonda tra i potenziali destinatari del contributo e chi dovrebbe elargire i contributi: la gente è spaventata dalle conseguenze degli abusi eventualmente riscontrate sui loro immobili, i tecnici sono demotivati, le imprese non possono impegnarsi per lavori che non si sa quando partiranno. Insomma la narrazione secondo la quale sono state esitate una buona percentuale delle pratiche presentate e che quindi la ricostruzione è in via di completamento, è un pugno allo stomaco della popolazione colpita; a mio giudizio non si è stati in grado di determinare le condizioni per far accedere tutti (o la gran parte) alla ricostruzione».

Contraddizioni che possono pure avere un fondamento giuridico in qualche norma che ferma gli uffici preposti nel procedere. Ma davanti a questa situazione forse è arrivato il momento di rivedere gli atti e semplificare senza cedere alla deregolamentazione. «Sono state create – prosegue Barbagallo – le premesse per lasciare il territorio con migliaia di immobili inagibili e con nessun intervento sulle strade. Non si comprendono le ragioni per cui la struttura non finanzia le strade pur essendo queste delle infrastrutture ed invece vengono finanziate le chiese, pur non essendo colpite da inagibilità e site in territori assolutamente marginali rispetto a Fleri. Non può finire così! Lo stato d’emergenza deve essere prorogato; anche la struttura commissariale deve essere prorogata ma con un deciso cambio di rotta; gli uffici sisma nei Comuni devono essere confermati e continuare il loro lavoro; ma su tutto, bisogna elaborare una nuova ordinanza con una nuova e congrua scadenza e creare le condizioni perché la i proprietari di immobili danneggiati possano presentare le istanze senza indugio».

Ad aggravare la situazione, in molti centri, è la farraginosità delle ordinanze che hanno aggravato i processi da seguire complicando, così, i procedimenti. «Semplicità – continua l’on. Anthony Barbagallo – avrebbe dovuto essere la parola chiave, invece partiamo dal fatto che per una istanza di contributo si devono produrre 20 documenti amministrativi e 26 elaborati tecnici. E poi altri per la fase di erogazione, come un complesso contratto tra committente e impresa, o come la polizza fideiussoria per ottenere la prima rata del contributo: prevede condizioni così estreme che quasi nessun istituto bancario o assicurativo la rilascia. Nel 2002 funzionarono benissimo le conferenze di servizi: le pratiche venivano istruite dagli uffici comunali e sottoposte all’approvazione di una commissione in cui si esprimevano con parere contemporaneamente il Comune, la Protezione civile, la Soprintendenza ai Beni Culturali ed il Genio civile; tutto simultaneamente, una grandissima semplificazione; oggi invece, non solo non c’è la conferenza di servizio ma, ad esempio, rispetto alle competenze del Genio civile, vengono pretesi pareri anche per casi in cui la legge attuale non li prevederebbe».

Ma forse a vantaggio della sicurezza?

«La sicurezza deve essere al primo posto, ma non è la complessità delle procedure a garantirla! Si stenta a crederlo ma questo carico burocratico in qualche caso finisce per scoraggiare l’aumento della sicurezza degli edifici. Mi spiego, pur con qualche necessaria semplificazione: le norme tecniche per le costruzioni in Italia prevedono tre livelli di intervento sull’edilizia esistente: la riparazione, il miglioramento e l’adeguamento; la riparazione è una sostanziale eliminazione del danno; l’adeguamento consiste invece nel portare l’edificio al livello di sicurezza previsto oggi per una nuova costruzione; in mezzo c’è il miglioramento che consiste nel fare conseguire all’edificio almeno una percentuale del livello di sicurezza delle nuove costruzioni: secondo le singolari ordinanze commissariali, se un progetto non raggiunge almeno il 60% della sicurezza del nuovo non è ammissibile al contributo per il miglioramento e viene relegato al contributo per la sola riparazione. E poiché molte volte, in base al tipo di edificio, raggiungere questo 60% non è facile, si genera l’assurdo che un edificio con progetto di miglioramento che arriva al 50% non sarà migliorato, ma solo riparato! Le pare a vantaggio della sicurezza?»

Quindi i problemi sono sia burocratici che tecnici?

«Le incongruenze burocratiche e normative in un settore come questo si trasformano inevitabilmente in problemi tecnici, in appesantimenti, lentezze. La struttura commissariale può essere velocissima a emettere i decreti di finanziamento, ma deve anche accorgersi che intorno a se c’è quasi una paralisi. La responsabilità non è dei Comuni, della Soprintendenza, del Genio civile: questi fanno il proprio lavoro che non è coordinare la ricostruzione; il coordinamento e l’emanazione di norme efficaci per facilitare una ricostruzione spedita, sicura, trasparente, sono invece un compito del Commissario straordinario. Apprendo che tante pratiche riguardanti immobili oggetto di sanatoria si impigliano in tortuosità normative. Chi dovrebbe risolvere? Chi dovrebbe ottenere dal Governo una soluzione normativa se non il rappresentante stesso del Governo che è appunto il Commissario governativo? Come peraltro è avvenuto altrove».

Lei pensa quindi che ci siano disparità rispetto ad altre ricostruzioni in Italia?

«Certamente. E non solo rispetto ai trattamenti fiscali quali sospensioni di tributi, esoneri etc. Quel che è più greve che ci sono differenze anche sui costi riconosciuti per gli interventi e – dove ci sono differenze ancor maggiori – sulle parcelle dei tecnici, che qui prendono una percentuale fissa. Non solo quindi non vengono applicate le tariffe ma l’assurdità è che più il lavoro è impegnativo, meno si guadagna. Faccio un esempio: per una pratica di semplice riparazione, che non necessita di calcoli strutturali, eseguita da una sola impresa, per tutte le prestazioni tecniche necessarie (sostanzialmente l’analisi geologica, il progetto architettonico e la direzione lavori) sarà riconosciuto il 12,50% dei lavori; per una pratica complessa, che consegue un adeguamento sismico, o porta a una demolizione e ricostruzione, con la presenza di più imprese e la necessità di avere anche un coordinatore per la sicurezza sia in fase di progettazione che di esecuzione, quindi con più prestazioni tecniche e più complesse (analisi geologica, progettazione architettonica, progettazione strutturale, sicurezza in fase progettuale, direzione lavori, sicurezza in fase di esecuzione, collaudo) sarà riconosciuta sempre la stessa percentuale. Non può andare! Infatti i professionisti seri non ambiscono a occuparsi di queste pratiche».

Umberto Triolo

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